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di Francesco Grignetti

La Stampa, 4 novembre 2023

Il giurista boccia la riforma: “Salta l’equilibrio tra esecutivo e legislativo. Temo che ci si avvicini pericolosamente a sovvertire l’articolo 1 della Carta”. Al professor Enzo Cheli, che fu vicepresidente della Corte costituzionale e poi presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dal 1998 al 2005, accademico dei Lincei, la riforma costituzionale non garba neanche un po’. Il suo pensiero è facilmente sintetizzabile: “In un colpo solo, senza dichiararlo, questo premierato rovescia il rapporto tra potere esecutivo e potere legislativo. Si incide pesantemente sull’equilibrio tra i poteri dello Stato. Ai miei occhi ci si avvicina pericolosamente a sovvertire l’articolo 1 della Costituzione”.

Ci spieghi, professore...

“L’articolo 1 dice che la sovranità è del popolo, ma nelle forme e nei limiti della Costituzione. E queste forme sono indicate esplicitamente: l’Esecutivo deve dipendere dal Legislativo. Se si rovescia questo rapporto, si intacca un principio fondamentale, che definirei addirittura supremo. Viene in gioco un principio di costituzionalità della riforma costituzionale. Giovanni Sartori diceva della riforma del 2016 che era “una riforma costituzionale incostituzionale”. Anche in questo caso, si viene a toccare un punto chiave, un principio supremo, uno di quelli che la Corte costituzionale definisce intangibile”.

Tecnicamente parlando, che impressione ne ricava?

“Mi pare che sia sconcertante sul piano tecnico e rischiosa sul piano politico. La si definisce “chirurgica” e si dice che si lascia inalterato il sistema parlamentare. In realtà si tocca il cuore del sistema. Per rafforzare la stabilità del governo, si incide pesantemente sia sul potere di controllo e di indirizzo del Parlamento, sia su quello del Capo dello Stato. Oggi il Capo dello Stato ha dei poteri di scelta tra vari ipotesi, che invece si bloccheranno su ipotesi fisse”.

Torniamo ai fondamentali...

“L’ispirazione originaria della Costituzione era garantista e anti-autoritaria. Mi sconcerta che si mantenga la parola “fiducia” del Parlamento quando ne viene rovesciata la sostanza. Fiducia è una libera scelta, qui diventa una scelta obbligata”.

Altri aspetti tecnici che non la convincono?

“La contraddizione tra una elezione diretta e poi una seconda scelta che non è più diretta, ma rinvia al Parlamento. La rigidità dell’indirizzo politico nell’arco di 5 anni; ma le situazioni si evolvono, tanto più ai tempi d’oggi. Se le situazioni cambiano, anche le soluzioni devono cambiare. E poi è sconcertante porre in Costituzione il riferimento alla legge elettorale; al massimo si può indicare qualche richiamo generico, mai un parametro fisso”.

A forza di irrigidire il sistema, lo si ingessa. È questo che intende?

“Certo, dopo alcuni anni l’indirizzo politico iniziale può essere superato”.

È pur vero che si sono visti nelle due ultime legislature si sono visti troppi ribaltoni.

“Esatto. Si cerca giustamente di rafforzare la stabilità del governo. È un obiettivo giusto alla luce di 75 anni di Carta repubblicana...Ma qui lo si fa intervenendo su un meccanismo di governo che non è la vera causa di instabilità, che viene piuttosto dalla fragilità del sistema politico sottostante, dalla sua frammentazione. Questa fragilità si può superare con altri strumenti, cioè con tutto ciò che può riavvicinare il corpo sociale alle istituzioni. C’è una contraddizione tra governabilità forzosa e stabilità della democrazia. Ci vedo un rischio di fondo. Si usano parole tranquillizzanti, che siamo sempre in un sistema di governo parlamentare, ma qui di parlamentare non c’è più nulla. La sostanza è che il rapporto di dipendenza tra potere esecutivo e potere legislativo si ribalta”.

Il governo sostiene che la stabilità e soprattutto la coerenza di legislatura tra voto e governo riavvicinerà gli elettori alle istituzioni. La convince questa lettura?

“Neanche un po’. L’astensionismo nasce da una crisi del sistema politico, dai comportamenti anomali, antidemocratici, autoreferenziali e corporativi dei partiti”.

C’è poi la fobia dei governi tecnici...

“Che non sono mai stati una bizzarria dei Capi dello Stato. Di fronte a situazioni emergenziali, vedi la crisi finanziaria o la crisi sanitaria, e di fronte alla frammentazione dei partiti, i Capi dello Stato hanno esercitato dei poteri forti, che ora gli verranno sottratti. Erano soluzioni tecniche transitorie che hanno salvato l’Italia”.

Il senso ultimo è che la stabilità vince su tutto...

“Così però si rischia di sacrificare l’equilibrio dei poteri per salvaguardare la stabilità di una persona sola. La nostra Costituzione nasce all’opposto per evitare che il potere sia prevalentemente nelle mani di una persona o di una fazione. Si forza oltre il giusto. Questo è il punto di fondo che non funziona nella riforma. Si imbocca una strada che storicamente avremmo definito bonapartista, oggi diremmo ungherese”.