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di Gennaro Grimolizzi

Il Dubbio, 26 settembre 2023

Giustizia riparativa, parla Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale alla Statale di Milano: “È importante non alimentare allarmismi, non c’è stato alcuno sconto di pena”. Nel dibattito aperto nei giorni scorsi sulle colonne del Dubbio in tema di giustizia riparativa, si inserisce il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale alla Statale di Milano e vicepresidente della Scuola superiore della magistratura.

Professor Gatta, la vicenda dell’omicidio di Carol Maltesi ha amplificato l’attenzione sulla giustizia riparativa con il programma previsto per Davide Fontana, il bancario che ha ucciso la giovane. Cosa ci deve aspettare da questo modello da poco introdotto?

Mi complimento, prima di tutto, con il Dubbio per aver avviato un dibattito su un tema nuovo e rilevante come la giustizia riparativa, introdotta dalla riforma Cartabia. Occorre ricordare che la disciplina si ispira a principi enunciati in diverse fonti sovranazionali. Penso ai principi-base sull’uso dei programmi di giustizia riparativa nel penale elaborati nell’ambito delle Nazioni Unite, alla direttiva Ue sulle vittime di reato, alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa e, da ultimo alla Dichiarazione di Venezia sul ruolo della giustizia riparativa in materia penale adottata dai ministri della Giustizia degli Stati membri del Consiglio d’Europa nel 2021, all’esito di una sessione di lavori presieduta dall’allora ministra Cartabia. Non è affatto un modello che calpesta diritti e garanzie, che anzi considera e fortifica. È un modello di giustizia che non è alternativa alla tradizionale giustizia penale e al processo: è complementare ed è incentrata sull’incontro tra autore e vittima, sotto la guida di un mediatore esperto. La giustizia riparativa persegue la riparazione del male inferto col reato attraverso la ricomposizione del conflitto, superando la logica vendicativa e dello scontro che permea da sempre la giustizia penale. Sa cosa le dico?

Dica pure…

Per comprendere la giustizia riparativa bisogna non solo e non tanto leggere il testo del d.lgs. 150/2022 e soffermarsi su articoli e commi: bisogna anzitutto ascoltare le esperienze di quanti, autori e vittime, hanno partecipato a incontri e programmi di giustizia riparativa. Le testimonianze sono tante e illuminanti, sia in sede internazionale sia in ambito nazionale. Pionieristico, in Italia, è il noto esperimento di incontro e confronto tra vittime e responsabili del terrorismo degli anni Settanta, raccontato nel “Libro dell’incontro” curato da Guido Bertagna, Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato. Molto toccante e al tempo stesso istruttiva è ad esempio la visione del film irlandese The meeting, che racconta l’incontro tra la vittima di una brutale violenza sessuale, attrice nel film, e l’autore del reato, dopo la sua scarcerazione.

Si deve insomma provare ad allargare gli orizzonti...

Alziamo lo sguardo da codici e norme, per un attimo, e cerchiamo di capire qual è la realtà e quali sono i bisogni, dell’autore del reato, della vittima e della società, che la restorative justice cerca di intercettare. La notizia del primo invio a un centro per la giustizia riparativa di un imputato, su sua richiesta, per verificare la fattibilità del programma è per me molto positiva: testimonia un avvio nella prassi di quanto prefigurato dalla legge. È un inizio, che apre scenari interessanti. Certo, il caso ha voluto che si iniziasse quest’esperienza nella prassi con l’hard case da lei menzionato: l’omicidio di una giovane donna, con sezionamento del cadavere, e con il rifiuto dei familiari di partecipare al programma di giustizia riparativa che, pertanto, potrebbe essere svolto solo con vittima cosiddetta aspecifica. Si tratta di un inizio con strada in salita, che non a caso ha avuto larga eco mediatica.

Nel dibattito sul Dubbio è stato rilevato un rischio: il ruolo del difensore potrebbe essere sminuito...

Non credo, anzi. Se ci pensiamo bene, il caso di Busto Arsizio ci dice il contrario. La richiesta di accesso alla giustizia riparativa è partita dall’imputato e quindi, verosimilmente, su suggerimento del suo difensore. La giustizia riparativa è una strada ulteriore e complementare che i difensori di vittime e imputati o condannati possono intraprendere nell’interesse dei loro assistiti. Il processo e la pena non sono sempre sufficienti a soddisfare i bisogni di vittime e autori: c’è talora un bisogno di comprensione, di dialogo, di incontro, di ricomposizione della frattura e, se possibile, di riconciliazione, che la giustizia riparativa, con i suoi mediatori esperti, può soddisfare. L’imputato e il condannato possono giovarsene sul lato della pena e dei benefici penitenziari, senza automatismi e su valutazione del giudice.

ll padre di Carol, Fabio Maltesi, ha detto di essere “sconvolto e schifato da una giustizia che ammette un assassino reo confesso, che ha ucciso, fatto a pezzi ed eviscerato una ragazza, di accedere a un percorso simile”. La fiducia nella giustizia è a rischio?

È una reazione comprensibile che va rispettata. Tanto più il reato è grave, quanto più serve tempo per creare le condizioni che, a volte, possono portare le vittime a cercare e ad accettare la giustizia riparativa. L’esperienza degli anni di piombo lo insegna. Quel che è importante è non alimentare allarmismi e dare una corretta informazione: non vi è stato alcuno sconto di pena ma solo l’invio a un centro di giustizia riparativa per valutare la fattibilità di un programma con vittima aspecifica. In caso di esito positivo, il giudice potrà valutare se riconoscere una riduzione della pena o concedere qualche beneficio penitenziario.

Qual è esattamente la logica di tale meccanismo?

La pena va commisurata oltre che alla gravità del fatto al bisogno di rieducazione, e il positivo svolgimento di un programma di giustizia riparativa, anche con vittima aspecifica, può dire qualcosa in proposito.

Dall’altro versante si definisce “vittimocentrica” la giustizia riparativa: è esagerato?

Direi di sì. Il caso di cui discutiamo mette al centro l’autore, reo confesso, non la vittima. E, comunque, se la vittima è messa ai margini del processo penale, la giustizia riparativa, che sta fuori dal processo penale e vi si innesta solo, può colmare una lacuna.

Sulla giustizia riparativa sono possibili correttivi?

Tutto si può correggere e migliorare, certo. Ma più che di correttivi vi è bisogno di continuare a dare attuazione alla legge formando i mediatori esperti e costituendo i servizi e i centri per la giustizia riparativa. Da quest’anno nel “Manuale di diritto penale” di cui sono autore, con Emilio Dolcini, è presente un capitolo sulla giustizia riparativa, che sarà studiata dai ventenni a Giurisprudenza, ma anche dai futuri avvocati e magistrati. A ottobre a Scandicci la Scuola superiore della magistratura organizzerà un corso sul tema. Il futuro insomma è già cominciato e va accompagnato.