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di Annalisa Cuzzocrea

La Stampa, 23 settembre 2023

Il governo Meloni ha dato un prezzo alla libertà. Lo ha stimato in 4.938 euro di cauzione. Bisognerebbe riuscire a mettersi nella testa di chi l’ha pensata, una norma del genere. Cercare di capire quale deserto morale possa concepire un meccanismo di questo tipo: a un migrante che arriva in Italia chiedendo protezione umanitaria, in caso parta da uno di quei Paesi che noi consideriamo sicuri, lo Stato chiederà di scegliere se andare in un Cpr o se restare libero in attesa di rimpatrio.

Il governo Meloni ha dato un prezzo alla libertà. Lo ha stimato in 4.938 euro di cauzione. Chissà se varia per tipologia umana: la chiederemo ai bambini che sbarcano soli perché i genitori sono morti nel deserto e qualcuno un po’ più grande li ha presi per mano? La chiederemo alle donne stuprate dai miliziani libici che arrivano incinte di uomini che le hanno abusate e nonostante questo stringono al petto quei neonati che gridano vita? Alle madri che abbiamo visto accalcarsi sul molo a Lampedusa mentre una figlia sveniva per il caldo e la fatica e il dolore e la paura?

A chi avremo il coraggio di chiedere quei soldi dicendo: altrimenti prego, abbiamo un “centro perimetrabile e sorvegliabile” pronto per te? La nostra presidente lo ha chiamato così. Lo ha pensato così: col filo spinato e tutto il resto. Lontano dai centri abitati, sia mai possano sentirsi per un attimo esseri umani in mezzo ad altri esseri umani. Pensavamo di aver sentito tutto quando il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha chiamato i migranti salvati da una Ong “carico residuale”. Credevamo che la sola idea di poter mandare nei Cpr persone che non hanno commesso reati, disperati che sono arrivati sulle nostre coste in cerca di protezione, fosse il massimo dell’abisso morale raggiungibile.

Pensavamo anche - che illusi - che qualcuno in una maggioranza di destra che crede di avere qualche residuo di centro si sarebbe alzato a dire: attenzione, questi sono campi di concentramento, non è così che si affronta un fenomeno epocale come le migrazioni. Non si chiude il mare e non si possono rinchiudere le persone che fuggono da fame, guerre, persecuzioni, carestie, miseria. Servono solidarietà, collaborazione, gestione dei flussi, coordinamento europeo. Serve la revisione del trattato di Dublino come invoca il Presidente della Repubblica contro il parere della presidente del Consiglio, che dovrebbe altrimenti spiegarlo ai suoi amici sovranisti.

E cosa è arrivato, invece? Un decreto ministeriale che chiede di pagare 5mila euro a chi ha già dato tutto quel che ha a quei trafficanti che avevamo promesso di inseguire nel globo terracqueo. Evidentemente, ci siamo stancati. Dal decreto Cutro a oggi sono stati arrestati 100 scafisti. Non proprio un successone. Forse, non riuscendo a fermare i trafficanti, il governo ha pensato bene di imitarne i metodi. Ma attenzione: noi i soldi li restituiremo a un disperato che per caso li abbia e torni dopo cento giorni per farsi mandar via. Una volta che il decreto di espulsione sia pronto, sempre che nel frattempo non abbia dimostrato di aver diritto a stare qui o non sia fuggito, com’è più probabile.

Non fosse un’ignominia, un reale pizzo di Stato, sarebbe un meccanismo da barzelletta. Tanto grottesco quanto inapplicabile, oltre che illegale (una norma del genere fatta in Ungheria, guarda caso, è già stata sanzionata dalla Corte di giustizia europea nel 2020, come ha ricordato ieri Riccardo Magi). Ma non bisogna consolarsi con l’impossibilità di farla valere, bisogna piuttosto disperarsi perché nel 2023 l’Italia ha un governo che ciancia di nuova tratta di schiavi e si permette di dare un prezzo alla libertà dei richiedenti asilo. Ci sarebbe da chiamare l’Onu, ma non per aiutarci: per inviare i caschi blu.