sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Maurizio Martina*

Corriere della Sera, 25 febbraio 2023

Il 90% di tutte le persone in estrema povertà vive in paesi vulnerabili sul piano climatico. Siccità, inondazioni, temperature estreme li colpiscono duramente. Caro Direttore, quasi il 90% di tutte le persone in estrema povertà vive in paesi vulnerabili sul piano climatico e ambientale. Siccità, inondazioni, temperature estreme li colpiscono duramente. E colpiscono prima di tutto le nuove generazioni: sono almeno 920 milioni i bambini a rischio scarsità d’acqua. Il legame tra cambiamenti climatici, fame e migrazioni sarà sempre più stringente e proprio per questo richiede un urgente salto di qualità nell’analisi e nell’azione.

Ciò è tanto più vero se si guarda al Mediterraneo, crocevia fondamentale di cambiamenti climatico-ambientali e geopolitici. Nel 2020 i disastri meteorologici hanno provocato lo sfollamento forzato di circa 30 milioni di persone e secondo la Banca Mondiale almeno 216 milioni di persone in sei regioni del pianeta potrebbero spostarsi all’interno dei loro paesi entro il 2050. È come se l’intero popolo brasiliano fosse costretto a muoversi. Sappiamo che, fino a qui, la grande parte dei movimenti migratori causati dagli shock climatici sembra essere di carattere temporaneo e locale, mentre le migrazioni determinate da costanti e graduali cambiamenti ambientali, più probabilmente, accentueranno il loro carattere permanente e di lunga distanza. Il fatto è che le migrazioni per necessità, determinate dagli effetti del clima sulla povertà e sulla fame, hanno proprio nelle popolazioni rurali le realtà più vulnerabili. La ragione è semplice e drammatica: la dipendenza di queste comunità dalle risorse naturali è quasi totale e i loro villaggi sono altamente esposti agli sconvolgimenti ambientali data la loro fragilità che troppo spesso impedisce azioni di tenuta o adattamento.

È il bisogno che spinge migliaia e migliaia di persone - dall’Afghanistan al Ciad, all’Etiopia o alla Somalia - a lasciare le campagne per cercare condizioni di vita migliori nei centri abitati più grandi, determinando spesso ulteriori pressioni su queste realtà. I riflessi sull’insicurezza alimentare sono immediati: si pensi alla situazione senza precedenti dei profughi della sete e della fame nel Corno d’Africa dopo cinque interminabili stagioni di siccità. La crescita della popolazione e l’aumento dei consumi a livello globale, inoltre, innalzano la pressione sulle risorse naturali impiegate nel settore agricolo: entro il 2030 le domande di risorse idriche ed energia aumenteranno del 40% e del 50%, rispettivamente, per far fronte ai nuovi bisogni alimentari.

Bisogna attrezzarsi per provare a mitigare gli impatti di questi scenari, evitando gli effetti più disastrosi sia per l’uomo che per l’ambiente. Ai tropici gli sconvolgimenti climatici rischiano di ridurre fino al 40% il pescato entro il 2050. Si stima che la sussistenza di oltre 252 milioni di persone dipenda dalle foreste e il degrado dei loro ecosistemi li espone a rischi esiziali. Senza dimenticare poi che circa il 60% della produzione agricola mondiale proviene da terreni non irrigati, la cui resa quindi dipende esclusivamente dalle precipitazioni, sempre più irregolari e imprevedibili. Sono tutti dati inequivocabili che legano indissolubilmente il clima, le risorse naturali, e l’insicurezza alimentare.

Esistono azioni capaci di aiutare le popolazioni più colpite, e agenzie come la FAO, sono impegnate su questo fronte. Alcuni esempi possono aiutare a descrivere il lavoro necessario: in El Salvador un progetto multilaterale aiuta da tempo oltre 50.000 piccoli agricoltori vulnerabili ad aumentare la loro resilienza climatica. Con il progetto SAFE invece, insieme all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, si lavora per migliorare l’accesso all’energia degli sfollati interni di diversi paesi africani. In Madagascar, il primo paese in cui è stata dichiarata una crisi alimentare a causa degli sconvolgimenti climatici, diverse ONG lavorano con le istituzioni per potenziale le pratiche di adattamento agroecologiche per rendere i suoli più fertili, prevenire le malattie delle piante, ridurre sprechi e perdite e permettere ai piccoli agricoltori di aumentare il loro reddito familiare.

Attraverso il contributo della Cooperazione allo Sviluppo italiana, la FAO ha formato oltre 500 tecnici e amministratori in Libia, Mali e Niger nella gestione delle risorse naturali per l’agricoltura, rafforzando le loro competenze. Consolidare rapidamente i giusti interventi di adattamento in materia di sicurezza alimentare non significa solo mettere in campo buone pratiche sostenibili agricole e alimentari. Significa anche offrire una possibilità di ordine sociale ed economico per scongiurare gli effetti più drammatici di queste dinamiche. E ciò è tanto più urgente nel Mediterraneo. Comprendere lo stretto legame che c’è tra ambiente, fame e migrazioni e agire di conseguenza è una delle responsabilità più importanti del nostro tempo.

*Vicedirettore generale FAO