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di Paola Savio

Il Riformista, 2 aprile 2024

Gli interventi legislativi di contrasto alla violenza di genere non si contano più ed hanno caratteristiche comuni: il riferimento alla sentenza CEDU Talpis c. Italia; il richiamo a eventi efferati; clausole di invarianza finanziaria. Il risultato che ci viene consegnato è che drammatici fatti di cronaca continuano a verificarsi nonostante l’innalzamento delle pene e la proliferazione dei reati; le clausole di invarianza finanziaria non consentono di realizzare gli strumenti necessari per la prevenzione: formazione specialistica per gli addetti ai lavori, informazione nelle scuole, sviluppo di programmi di recupero per uomini maltrattanti capillari sul territorio e gratuiti.

La recente riforma ha scelto le “misure di prevenzione”, strumenti nati per combattere un diverso fenomeno caratterizzato dalla pericolosità radicata in certi substrati culturali la cui espansione necessitava di una tutela rafforzata così da anticipare il controllo sociale con misure extra-penali.

Il Codice Rosso rafforzato ha pertanto elevato a sistema la repressione amministrativa: ammonire prima per reprimere meglio e di più dopo. Sparisce il vaglio del giudice demandato, invece, all’autorità di pubblica sicurezza. Non sono necessari indizi, né tantomeno prove, ma solo indicatori di una situazione di pericolo che troppo spesso deriva dalla sola versione della presunta persona offesa.

Il tema è serio perché una percossa può ridursi ad una piccola spinta, il danneggiamento può derivare da un vaso che inavvertitamente cade, la violenza privata dall’impedire a una persona di entrare o uscire di casa con l’unica finalità di chiarire incomprensioni. Le situazioni tipiche che capitano nei momenti precedenti, concomitanti e immediatamente successivi ad una separazione. Diventa allora importante distinguere il conflitto dalla violenza: il primo implica un’attribuzione reciproca di responsabilità in un clima emotivamente acceso e di vivace contrapposizione; la violenza comporta la supremazia di un soggetto sull’altro con il rischio di esiti nefasti. Abusi e strumentalizzazioni sono dietro l’angolo.

L’ammonimento ha pesanti ricadute sulla libertà personale ed è stato consegnato alla valutazione discrezionale del Questore che potrà decidere sulla base della sola versione della presunta vittima senza possibilità di un contraddittorio con l’altra parte coinvolta. Per quanto la legge abbia previsto la possibilità di assumere ogni informazione utile per realizzare una sorta di istruttoria minima, la prassi è andata in direzione opposta: basta la sola segnalazione, unilaterale, di situazioni critiche (conflitto o violenza?) con il conseguente rischio di compiere un “atto di fede” sulla prima dichiarazione raccolta.

Siamo ben lontani dalle necessarie garanzie che dovrebbero governare tutti gli istituti che limitano i diritti di libertà e difesa propri di un sistema liberale penale, ma anche extra-penale. Per non parlare delle ricadute dell’ammonimento sulla pena e sul processo: in caso di denuncia e conseguente condanna per alcuno dei reati “spia” scatta una specifica e nuova circostanza aggravante così che un atto amministrativo, con funzione dissuasiva-preventiva, diviene presupposto per aumentare le pene.

Ancora: con l’ammonimento i reati diventano perseguibili d’ufficio (le percosse, il danneggiamento, la violenza privata e lo stalking) con conseguente trasformazione della funzione preventiva in strumento repressivo quale dovrebbe essere la sola sanzione penale. Ma non è finita qui. Si interviene anche sulla “ristrutturazione” delle misure di prevenzione del codice antimafia ampliando il novero dei reati per cui sarebbero consentite; scattano per i soggetti “proposti” l’applicazione automatica di prescrizioni ulteriori come il braccialetto elettronico o l’obbligo di presentazione all’autorità di pubblica sicurezza, oltre al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone da proteggere.

L’impostazione è contraria ai principi costituzionali (perché più severe prescrizioni per questi reati e non per altri altrettanto gravi?) e snatura la funzione tipica delle misure di prevenzione di isolare il proposto dal contesto illecito di appartenenza. Il tutto, neanche a dirlo, con buona pace della presunzione di innocenza. Servono dati, numeri, persone che formano e informano, ma anche strutture e risorse in grado di rieducare chi ha realmente sbagliato per combattere il rischio di recidiva. Altro dettato della Costituzione da non dimenticare.