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di Liana Milella

La Repubblica, 9 marzo 2022

La deputata, ex M5S, con le sue rivelazioni fece condannare la mafia di Partanna. Ha chiesto di essere ascoltata dalla Commissione per la protezione. Ma le hanno dato ascolto solo dopo che è andata in tv. E ora è pronta a portare in Parlamento il dossier sui “soprusi subiti da pentiti e testimoni”.

“Ho sentito finora sessanta tra collaboratori e testimoni. E non ho raccolto una sola testimonianza positiva…”. E ancora: “Tra di loro né si conoscono, né tantomeno si frequentano, quindi certamente non possono essersi messi d’accordo…”.

Piera Aiello, da collaboratrice di giustizia, ha fatto condannare la mafia di Partanna. Adesso, da deputata ex M5S, e ora nel gruppo misto, lavora per rivelare che cosa non va nel sistema dei pentiti. “Io sono a conoscenza di cose pesanti contro i testimoni e contro i collaboratori, chi li protegge dovrebbe applicare la legge e invece non lo fa, hanno scritto le circolari, ma poi non le mettono in pratica… ma io non mi fermo, andrò fino in Europa”.

Per ora un fatto è certo. Il 9 marzo Piera Aiello si presenterà davanti alla Commissione centrale di protezione di collaboratori e testimoni e denuncerà tutto quello che le risulta dopo le sue 60 audizioni. Ma si riserva anche di rivolgersi a una procura della Repubblica, che potrebbe essere Roma, ma non solo. Per ora non vuole aggiungere di più. Dopo aver scelto Paolo Borsellino come suo magistrato di riferimento - “zio Paolo” lo chiamavano lei e la cognata Rita Atria che si suicidò buttandosi dal sesto piano dopo l’attentato di via D’Amelio - adesso Piera ha deciso di liberarsi di un altro fardello. Da presidente del sottocomitato della commissione parlamentare Antimafia che si occupa dei collaboratori e dei testimoni di giustizia ha lavorato moltissimo.

Le sessanta audizioni - tutte riservate tranne qualcuna che era possibile ascoltare in “plenaria” - rivelerebbero una lunga serie di soprusi, dalla violazione del diritto allo studio a quella della salute, dai casi di identità segrete rivelate, a genitori minacciati di essere privati della patria potestà, a 400 minori che ne subiscono le conseguenze. Tutto, ovviamente, con tanto di nomi e cognomi.

Del resto la “famiglia” è molto grande, parliamo di oltre 4.600 tra collaboratori e testimoni, di cui un migliaio i pentiti e poco più di 50 i testimoni. Il resto sono familiari, oltre 3.500 per i collaboratori e gli altri legati ai testimoni. Un costo attualmente sui 50-60 milioni di euro (erano 89 nel 2018, l’ultimo anno in cui è stata presentata la relazione al Parlamento), in cui incidono molte le cosiddette “capitalizzazioni”, cioè la buonuscita data a chi decide di uscire dal Servizio di protezione.

“Io la situazione la conoscevo già”, dice adesso Piera Aiello. Proprio perché la vita da collaboratrice l’ha fatta. In protezione è entrata il 30 luglio del 1991, con “zio Paolo”, ne è uscita nel 1997 “con una piccola capitalizzazione, ma libera da vincoli assurdi, succube di un programma con 4 lire, proprio come adesso c’è gente con famiglia che vive con 500 euro con i figli a carico con disabilità”. Nel 2018 ha scelto di candidarsi con M5S - “Mi aveva contattata il deputato europeo Ignazio Corrao” - e ha preso 80mila voti in un collegio uninominale nel trapanese. Ha lasciato M5S, racconta adesso, “quando Bonafede ha firmato la circolare sulla scarcerazione dei boss” (siamo nell’aprile del 2020, Alfonso Bonafede era il ministro della Giustizia, ndr).

Aiello aveva chiesto di essere sentita dalla Commissione centrale di protezione a ottobre scorso. Presieduta dal sottosegretario leghista all’Interno, Nicola Molteni, ne fanno parte due magistrati della Procura nazionale antimafia, l’ex pm di Roma Diana De Martino e l’ex procuratore di Bari Antonio Laudati, nonché l’avvocato generale dello Stato, Antonio Massarelli, figura inserita nel 2018 con l’obiettivo di prevenire il possibile contenzioso; e poi cinque rappresentanti delle polizie. Ma la commissione ha deciso di rispondere e convocare solo adesso Piera Aiello, dopo che il 27 febbraio ha partecipato alla trasmissione “Mi manda Rai Tre” sulla storia del testimone di giustizia Ignazio Cutrò. Lì, Aiello ha reso pubblica la sua decisione di raccontare tutto quello che ha raccolto grazie alle sue audizioni e che tra un paio di mesi confluirà nella sua relazione destinata al Parlamento.

Ovviamente quella di Aiello è una campana. Ne esiste un’altra, quella del Servizio centrale di protezione, il braccio operativo della Commissione centrale di protezione. Il direttore, Nicola Zupo, il funzionario di polizia che ha preso il posto del generale dei carabinieri Paolo Aceto, è stato sentito il 20 gennaio scorso dalla commissione Antimafia. Giusto il tempo di sentirgli dire “sono il direttore dal primo aprile 2021, ho cominciato la mia carriera a Palermo e le stragi hanno segnato la mia vita. Appena arrivato, da giovane funzionario, il giorno della strage di Capaci fui mandato nell’ospedale dove c’erano Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e fui io a dover annunciare la loro morte…”.

Ma qui ecco la richiesta di un’audizione secretata. Della quale però, per bocca dei parlamentari presenti, si può grossomodo capire il contenuto. Zupo descrive come funziona il Servizio, una sede centrale a Roma e 19 Nuclei operativi di protezione, uno in ogni regione, proprio quei Nop che sono al centro di più di una denuncia da parte dei pentiti e dei testimoni.

Ha detto Zupo: “Il Servizio è la casa di tutti i collaboratori, quindi se ci sono delle lagnanze o dei problemi da risolvere siamo pronti a fare chiarezza su tutto, perché questo è il nostro interesse principale. Se ci sono state eventuali violazioni siamo pronti ad accertarle con la massima severità e trasparenza”. Zupo non nega di fronte ai commissari di “aver ricevuto spesso, anche dai collaboratori, delle segnalazioni” e spiega di “aver scritto alle procure”. Ma, aggiunge, “molte notizie non sono vere”. E qui, sulle due versioni, Aiello da una parte, Zupo dall’altra, toccherà alla Commissione centrale e alle procure fare chiarezza.