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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 11 giugno 2022

Sono i cosiddetti “liberi sospesi”, condannati definitivi a pene sotto i 4 anni. In attesa della risposta restano sospesi nel limbo di chi né va in carcere né inizia a scontare la pena alternativa. Magari Sarzana fosse un caso isolato. Magari i contingenti meandri burocratici - che ora il Tribunale di Massa e l’Ispettorato del Ministero cercano di ricostruire per capire come mai non si fosse nemmeno iniziato a mettere in esecuzione la condanna definitiva, tre mesi fa, a 3 anni per rapina di Daniele Bedini (rimasto perciò libero e tre giorni fa assassino poi di Nevila Pjetri e forse anche di Carlo Bertolotti) - fossero un meteorite piovuto sul pianeta giustizia. Invece è solo la scia di una stella cometa (di colpo visibile) di un ordinario firmamento di luci fioche in un limbo che nessuno sa nemmeno quantificare con esattezza tra le 40.000 e le 60.000 persone se si ragiona sulle iscrizioni a ruolo, ma probabilmente quasi il doppio se si considerano quelle ancora persino da registrare.

Sono i cosiddetti “liberi sospesi”, cioè quei condannati definitivi a pene sotto i 4 anni, che entro 30 giorni dall’emissione dell’ordine di carcerazione con contemporanea sospensione (primo passaggio ancora nemmeno espletato nel caso di Sarzana), possono chiedere di scontare la condanna non in carcere ma in una misura alternativa alla detenzione come la semilibertà, i domiciliari, o l’affidamento in prova ai servizi sociali; e che però - per lo spaventoso imbuto creato sia dalla farraginosità logistica dei passaggi di fascicoli, sia dal ridotto organico degli appena 230 nevralgici ma sempre snobbati magistrati di Sorveglianza, nonché dai vuoti negli Uffici dell’esecuzione penale esterna (Uepe) - in attesa della risposta restano sospesi nel limbo di chi né va in carcere né inizia a scontare la pena alternativa.

Con due micidiali effetti opposti. Se infatti la persona condannata è anche pericolosa, può accadere appunto che il “libero sospeso” ricompia reati, magari ancor più gravi. Ma a fronte di questi condannati miracolati dall’inefficienza statale, sfugge l’opposta sorte di coloro per i quali lo Stato mette in esecuzione la pena a distanza anche di molti anni dalla condanna e di ancora più anni dal reato commesso: cioè quando magari quella ha trovato un lavoro, si è fatta una famiglia, ha insomma ritrovato un equilibrio che paradossalmente viene sbriciolato proprio dalla tardiva espiazione della pena, in una lotteria (nella casualità che spinge o frena un fascicolo piuttosto di un altro) che fa strane dei principi costituzionali dell’uguaglianza (articolo 3) e della finalità rieducativa della pena (articolo 27). Senza nascondersi che ormai, se pure per miracolo in uno schioccare di dita tutte le decine di migliaia di “fantasmi” in attesa venissero valutate a monte, a valle ciò manderebbe in tilt sia le già stracolme carceri (dove finirebbero molte migliaia di loro) sia i già sguarniti uffici dell’esecuzione esterna (alla quale sarebbero ammessi molte altre migliaia di loro).

Su questo tema, ben presente solo a pochi giuristi (ancora un mese fa se ne era profeticamente parlato al Festival della Giustizia di Modena) e a ancor meno politici (come la radicale Rita Bernardini), il cantiere normativo porta una cattiva e una buona notizia. La cattiva è che, per precisi vincoli europei, i 16.500 rinforzi dell’”Ufficio del processo” finanziati dai soldi del Pnrr possono andare a beneficio solo degli uffici di cognizione (cioè Tribunali e Corti di Appello), e non anche dei giudici di Sorveglianza. La buona è invece che, oltre ad agire sulla informatizzazione per evitare tempistiche di trasmissione ancora da piccione viaggiatore, una parte della legge delega Cartabia trasformerà alcune “misure alternative”, oggi di competenza del Tribunale di Sorveglianza dopo i tre gradi di giudizio, in “sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi” direttamente irrogabili dal giudice della cognizione già al momento della sentenza di merito. La pena detentiva inflitta entro i 4 anni potrà cioè essere sostituita subito dal giudice con la semilibertà o con la detenzione domiciliare; quella sotto i 3 anni anche con il lavoro di pubblica utilità; quella sotto 1 anno anche con la pena pecuniaria. Queste pene sostitutive non potranno però essere congelate (come oggi le normali pene entro i 2 anni) dalla sospensione condizionale, e potranno essere applicate solo a condizione che favoriscano la rieducazione del condannato e non vi sia pericolo di recidiva.