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di Gian Domenico Caiazza

Il Dubbio, 4 agosto 2023

Le riflessioni che il dott. Bruti Liberati ha svolto qualche giorno fa sulle pagine de Il Dubbio, relative all’annoso tema del rapporto tra responsabilità penale, responsabilità politica e stampa, non mi convincono. Intendiamoci: lo schema dell’argomentazione è all’apparenza ineccepibile.

La responsabilità politica deve restare distinta dalla responsabilità penale; un uomo pubblico può doversi dimettere dalle proprie cariche anche per condotte penalmente irrilevanti, ma eticamente significative; e per converso, fatti penalmente rilevanti potrebbero essere tali da non risultare incompatibili con l’esercizio della funzione pubblica. Segue elenco di vicende accadute in altri Paesi (ministri dimessisi per la tesi copiata, il mutuo agevolato etc.), a conferma dell’assunto.

In questo quadro, ecco implacabile il solito richiamo al ruolo della stampa quale “cane da guardia della democrazia”. Tutto bene, tutto bello. Senonché questo quadro ideale di come debba funzionare un sistema democratico, manca di due tasselli fondamentali: mancano, a fianco della responsabilità della politica, quella del potere giudiziario e quella della stampa. Eccola qui la vera, clamorosa anomalia del nostro sistema Paese: chi svolge una indagine giudiziaria che, dopo aver fortemente impattato sull’ordinato svolgersi della vita democratica e delle istituzioni politiche, si rivelerà del tutto infondata sin dalle sue scaturigini, non ne risponderà in alcun modo.

Né in termini risarcitori (ed è il male minore), né in termini di carriera professionale (e questo è semplicemente intollerabile). Al tempo stesso, quei giornalisti o quelle testate giornalistiche che lanciano - per finalità politiche o di semplice mercato- campagne di stampa violentissime poi dimostratesi infondate, cioè basate su circostanze non adeguatamente verificate o del tutto contrarie al vero, ne risponderanno, se mai ne risponderanno, con sanzioni patrimoniali risibili (qui - chiedo- non valgono le comparazioni con gli altri Paesi?) e con nessuna conseguenza professionale.

La prova del nove di quanto sia veritiera la ricostruzione di questa anomalia risiede nel fatto che, non a caso, da oltre trent’anni questi due poteri irresponsabili (formidabili ed irresponsabili) si sono quasi naturalmente coalizzati in un tacito patto di reciproca protezione. I processi civili e penali per diffamazione sono gestiti da Procure e Tribunali con una indulgenza prossima alla garanzia di impunità per i giornalisti (salvo mirate eccezioni per alcune privilegiate categorie di persone offese, magistrati in primis); e i famosi “cani da guardia del potere” abbaiano contro ogni potere che non sia quello giudiziario, salve alcune benemerite e minoritarie eccezioni.

Qualcuno mi faccia la cortesia di citare, in questi ultimi decenni, una qualche inchiesta giornalistica, di quelle ficcanti, spietate, con titoli cubitali e protagonisti implacabilmente inseguiti dal microfono del giornalista d’assalto, su qualsivoglia vicenda giudiziaria, o di gestione di un ufficio giudiziario, o di gestione di un processo. Un esempio, solo il più recente, per tutti. Gli avvocati penalisti calabresi lanciano un forte grido di allarme sulla amministrazione della giustizia in quelle terre. Hanno ragione o torto? Sono dei calunniatori o, peggio, portatori di minacce per conto terzi, oppure hanno qualche ragione e raccontano verità?

Non lo sapremo mai, perché ANM e CSM insorgono a tutela, la stampa - senza eccezioni- fa da indignato megafono a quella reazione, ma a nessuno viene neppure in mente di verificare quali verità possano eventualmente - per carità, dico solo: eventualmente- trovare riscontro in quella denuncia pubblica. E d’altronde, come stupirsi? ancora oggi, a quarant’anni di distanza, nessuno ha seriamente cercato di capire le ragioni dello scandaloso processo ad Enzo Tortora, i cui responsabili nella magistratura, beninteso, furono tutti promossi con encomio.

Dunque, il dibattito su questo tema così complesso non uscirà dalle paludi della retorica se non si determinerà ad affrontare la questione della responsabilità delle funzioni pubbliche o di rilevanza pubblica, che funziona solo se varrà senza eccezioni, senza sacche di privilegio, senza ipocrisie, senza riserve di impunità. Un sistema democratico funziona se tutti coloro che esercitano funzioni pubbliche o socialmente rilevanti rispondono, con efficacia e durezza, dei propri errori. Che è esattamente ciò che manca nel nostro Paese.