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di Paolo Siani*

L’Espresso, 5 giugno 2022

 “Ma ora serve fare presto in Senato per non sprecare tutto”. Il commento del deputato che ha firmato il pdl approvato alla Camera che cancella la possibilità per i bimbi di essere reclusi con le madri. Una battaglia portata avanti anche dall’Espresso.

Quasi all’unanimità, con soli 7 voti contrari e due astenuti, il 30 maggio la Camera dei Deputati ha approvato in prima lettura la mia proposta di legge su mamme detenute e bambini, che disciplina l’istituzione delle case famiglia protette come unica scelta per far scontare la pena a una donna in stato di gravidanza o con un bambino fino a 6 anni di età. È previsto, infatti, l’obbligo per il ministro della Giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee ad ospitare case famiglia protette, alternative agli istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM), ai quali si continuerà a fare ricorso soltanto laddove esistano esigenze cautelari di particolare rilevanza. L’ICAM, che è pur sempre un carcere, offre però una sistemazione più accogliente per il bambino, senza fare sconti di pena alla mamma detenuta.

Inoltre, si stabilizza il fondo costituito dall’art. 1, comma 322, della legge n. 178 del 2020, al fine di contribuire all’accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case famiglia protette, prevedendo che i criteri individuati per il riparto delle risorse del fondo fra le regioni possano essere aggiornati con cadenza triennale.

La proposta di legge vuole così superare le criticità emerse in sede di applicazione della legge n. 62 del 2011, che prevedeva già la realizzazione delle case famiglia protette senza oneri per lo Stato. In Italia ci sono attualmente 5 ICAM e solo due case famiglie protette, una a Roma e una a Milano.

Adesso, come evidenziato in precedenza, il Ministero della Giustizia avrà l’obbligo di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee per realizzare case famiglia e i Comuni dovranno utilizzare a tale scopo prioritariamente immobili di loro proprietà, adottando i necessari interventi per consentire il reinserimento sociale delle donne, una volta espiata la pena detentiva.

Nessun bambino quindi varcherà più la soglia di un carcere. Non ci saranno più bambini nella sezione nido di Rebibbia, per esempio, lì dove nel 2018 una mamma reclusa uccise i suoi due figli di 6 e 18 mesi, scaraventandoli giù dalle scale e urlando “ora siete finalmente liberi”, o dove una donna la scorsa estate fu costretta a partorire in piena notte.

La proposta di legge, in aggiunta, equipara alla condizione dell’ultrasettantenne - per il quale la custodia cautelare in carcere è consentita solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - quella dell’imputato unico genitore di una persona con disabilità grave e interviene sull’istituto del rinvio dell’esecuzione della pena, che viene esteso anche al padre di un bambino che abbia meno di un anno (quando la madre sia deceduta o comunque impossibilitata a dare assistenza ai figli) e alla madre (o al padre) di un figlio con disabilità grave che abbia meno di 3 anni.

Secondo il rapporto Space dell’ultimo Consiglio d’Europa, a gennaio 2020 nel Vecchio Continente c’erano 1608 bambini che convivevano con la madre in un istituto penale (dati di 37 amministrazioni).

Alla luce della normativa vigente nei diversi Paesi europei, il limite massimo di età per la permanenza dei bambini in carcere è variabile tra le nazioni. In Inghilterra, circa il 60% delle donne detenute ha figli minori. Di queste, solo il 3% ha la possibilità di tenere presso di sé il bambino. Al bambino è consentito di vivere con la madre detenuta fino ad un massimo di 18 mesi di vita, ad eccezione di specifiche circostanze in cui i due possono risiedere nelle “Mother and Baby Units”.

Il termine massimo di età è invece di 3 anni in Portogallo e in Spagna, mentre in Finlandia il bambino può vivere in carcere con la madre fino all’età di 2 anni. In Francia non è previsto un limite di età per il bambino ma l’età media dei bambini in carcere con le mamme è inferiore ad un anno di vita. Le medesime condizioni sono rispettate in Lussemburgo, dove la richiesta di ammissione del bambino viene analizzata a seconda del caso, insieme ad un Giudice del Tribunale dei Minori.

La nostra proposta di legge, piuttosto avanzata rispetto agli altri Paesi europei, offre uno strumento giuridico per dimostrare che il Parlamento vuole lottare per tutti gli innocenti, iniziando proprio dai bambini. Ora bisognerà fare in modo che venga in fretta esaminata anche dal Senato prima che termini la Legislatura, per non rendere vano un lavoro lungo e difficile, durato oltre due anni.

Molto resta ancora da fare per rendere le nostre carceri luogo di rieducazione così come stabilisce la Costituzione. Ma quello appena compiuto è un primo passo che tutela in via prioritaria i diritti dei bambini.

*Vice Presidente Commissione parlamentare infanzia e adolescenza