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di Salvo Palazzolo

La Repubblica, 29 agosto 2024

“L’abolizione dell’abuso d’ufficio? Misura ormai poco incisiva. Rischioso limitare a 45 giorni le intercettazioni. Pochi magistrati negli uffici, lo Stato continui a investire sulla lotta ai clan. Le norme attuali frenano il diritto all’informazione”. “Oggi è più difficile scoprire i funzionari infedeli che i mafiosi”. Il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia traccia un bilancio dell’attuale fase di lotta al crimine. “Le indagini sui colletti bianchi sono più difficili perché non è possibile utilizzare il sistema legislativo che funziona nei confronti della mafia, abbiamo strumenti diversi, certamente meno invasivi, ma anche meno efficaci”.

Si sono sollevate non poche polemiche per l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Cosa ne pensa?

“Prendo atto con rispetto di quanto deciso dal Parlamento. Quando fui audito in commissione giustizia segnalai però la problematicità di questa abrogazione: la precedente modifica, intervenuta nel 2000, aveva già fortemente limitato l’ambito di applicabilità del reato di abuso d’ufficio. Dunque, è stato fatto un intenso lavoro per una questione sostanzialmente poco incisiva”.

Perché allora si è lavorato così tanto per eliminare un reato ormai inutilizzato?

“Magari l’abrogazione dell’abuso d’ufficio avrà un valore simbolico per qualcuno, ma si era già intervenuti in materia. In realtà, c’è una questione di metodo più generale: le attuali scelte in materia di politiche penali si susseguono in materia caotica senza lasciare il tempo alle norme approvate di sedimentare. Perché se ne fa una, e un minuto dopo se ne fa un’altra. Per gli operatori del diritto è difficile adeguarsi ai mutamenti”.

Cosa bisognerebbe fare per essere più incisivi nelle indagini sui colletti bianchi?

“Dal punto di vista normativo, bisogna essere assai cauti soprattutto con riguardo alle intercettazioni. La corruzione, come la mafia, è un reato occulto che si scopre non perché qualcuno te lo dice, ma perché ascolti chi compie i reati”.

Cosa ne pensa dell’emendamento che vorrebbe ridurre le intercettazioni a 45 giorni?

“Si rischia di introdurre un elemento preoccupante per chi fa indagini sulla pubblica amministrazione, perché le limita moltissimo. Piuttosto, sarebbe sufficiente prendere atto del fatto che già oggi le intercettazioni sono autorizzate da un giudice terzo, in presenza di specifici e rigorosi requisiti. Bisogna poi uscire da un equivoco, le intercettazioni non finiscono abusivamente sui giornali. Quelle che vengono pubblicate sono solo quelle nella disponibilità delle parti. Dalla riforma Orlando, esiste un archivio riservato per le conversazioni irrilevanti, che rimangono segrete”.

Il dibattito sulla giustizia è affollato dai tagli. Cosa bisognerebbe invece potenziare?

“Il vero tema è quello del processo, che non potrà mai funzionare in questo modo. Non possiamo avere lo stesso processo per tutti i reati. Bisognerebbe immaginare una ripartizione del codice penale non più in delitti e contravvenzioni, ma in crimini, delitti e contravvenzioni. Con delle procedure adeguate in base all’importanza del reato”.

In realtà, un’aggiunta è stata immaginata nella riforma: a decidere sull’arresto saranno tre giudici. Un altro appesantimento?

“Una delle questioni più gravi con cui ci confrontiamo oggi è quella degli organici della magistratura. Quest’ultima modifica, pur essendo senz’altro astrattamente garantista, aggraverà di certo il problema”.

A Palermo, ufficio simbolico di frontiera, quanti pm mancano?

“Ben dodici, ma il tema non riguarda solo il mio ufficio. A Palermo, carenze di organico ci sono anche all’ufficio gip e in tribunale. Ma non è solo questione di numeri”.

Cosa c’è in ballo negli uffici giudiziari più esposti?

“Dopo una lunga stagione, lo Stato può dire di essere vincente contro la mafia. Ma siamo in un momento delicato, in cui Cosa nostra punta alla riorganizzazione, mentre continua ad avere relazioni importanti con la zona grigia di questo paese. Se lo Stato non continuerà a investire in questa lotta, mettendo le procure in condizione di lavorare a pieno regime, rischiamo di perdere la partita che stiamo vincendo”.

In questa fase così delicata, sono arrivate anche le norme che hanno limitato l’informazione...

“La presunzione di innocenza, posta a base delle ultime modifiche, è fondamentale. Ma hanno un rilievo costituzionale anche il diritto dei cittadini di essere informati e il dovere della stampa di informare. Il punto di equilibrio è allora informare in maniera coerente con il principio di presunzione di innocenza. Ma quando si pongono solo due strumenti di comunicazione a disposizione del procuratore, il comunicato e la conferenza stampa, e si limita moltissimo dal punto di vista sostanziale, si creano una serie di difficoltà alla libera informazione. E si alimenta il rischio di un mercato nero delle informazioni”.

Quali correttivi suggerirebbe?

“La normativa attuale va rispettata, ma credo sia legittimo osservare che sarebbe più giusto porsi da una prospettiva diversa. In un sistema liberale, non si può limitare prima, è molto più corretto sanzionare dopo chi non si attiene ai principi della corretta informazione”.