sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Piero Sansonetti

L’Unità, 16 luglio 2023

C’è una vera e propria rivolta contro il ministro Nordio che ha annunciato di volere correggere (ora si dice: rimodulare) la formulazione del reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”. In realtà, chi conosce un poco poco il diritto sa perché questo reato non può essere né corretto, né rimodulato e neppure abolito. Per una ragione semplice e paradossale. Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non esiste. Ora vedremo perché.

Contro il ministro Nordio, ex magistrato, si è alzato un fuoco di sbarramento. Guidato, come era prevedibile, dal giornale dell’Anm (l’associazione dei magistrati) e cioè dal Fatto quotidiano, seguito a ruota dal suo giornale scialuppa, e cioè Repubblica. La quale alle volte riesce persino ad anticipare il Fatto nelle campagne giustizialiste, ma di solito lo segue a ruota. E dietro ai giornali grillini si è mosso mezzo mondo politico e giornalistico. a partire addirittura dal sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Mantovano, che ha sconfessato Nordio (in questo governo c’è la gara a quali ministri vengono sconfessati più spesso…).

Nordio, pacifico magistrato veneto e anche pacifico ministro che al momento non sembra affatto intenzionato a realizzare nessuna riforma della giustizia, solo per aver detto una cosa ragionevolissima è indicato come l’uomo che vuole aprire le porte alla mafia. Ora il problema non è quello di sostenere una polemica politica o giudiziaria. È normale che le polemiche si accendano. Il problema vero è che in Italia ormai è passata una idea di lotta alla mafia che non ha niente a che fare con la legalità e con il diritto. Gran parte della politica italiana, in particolare (e tra poco vedremo perché) la politica di sinistra, immagina che la lotta alla mafia sia una sfera autonoma della politica che non ha niente a che fare con la legge e che deve essere invece affrontata con mezzi e regole militari che pongano il fine (la sconfitta di Cosa Nostra) al di sopra della legittimità dei mezzi (il codice penale). E questo è un problema molto serio, perché questo modo di pensare mette in discussione i pilastri essenziali della dialettica democratica, e inquina la battaglia politica.

Provo a spiegarmi meglio. Tutti coloro che oggi polemizzano con Nordio per la sua dichiarazione sul concorso esterno, non portano a sostegno della loro tesi argomenti giuridici ma argomenti politici. Dicono che in questo modo si indeboliscono le forze impegnate per battere la mafia. Non sono in nessun modo interessati a discutere del merito delle leggi e della loro costituzionalità o addirittura della loro legalità. Così non si costruisce un conflitto politico, si costruisce un conflitto tout court di netto taglio qualunquista. Non a caso il capostipite di questa cultura è Beppe Grillo.

Entriamo nel merito della questione. Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non esiste nel nostro codice penale. Non tutti lo sanno ma, curiosamente, è così. Le Procure sostengono (e hanno ottenuto un parziale via libera da parte della Cassazione) che il reato è una combinazione di altri reati, e precisamente del reato previsto dall’articolo 110 del codice penale (il reato di concorso) con il reato previsto dall’articolo 416 bis (associazione mafiosa). Però esiste anche l’articolo 1 del codice penale, che è il più importante visto che è stato messo in testa al codice, il quale dice testualmente così: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da esse stabilite”. Ora una cosa è assolutamente sicura: il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non è previsto da nessuna legge e nessun articolo del Codice stabilisce una pena per chi lo commetta.

Voi capite che non è un problema piccolo. Ma forse l’aspetto più drammatico di questa faccenda non sta neanche nel fatto che alcune persone siano state condannate per questo reato, ma invece nella circostanza che, in assenza di una precisa definizione giuridica del reato, i magistrati lo interpretano a propria discrezione e lo usano, di solito (diciamo pure: quasi sempre) solo quando non riescono a trovare a carico della persona che hanno preso di mira una imputazione ragionevole e provabile. Se l’inquisito risulta evidentemente privo di responsabilità su altri reati, gli si addebita il reato fantasma.

Qual è il ragionamento che sta dietro questa pratica (ed il motivo per il quale questa pratica piace parecchio a una bella fetta dell’opinione pubblica)? Il ragionamento è questo: un magistrato che raggiunge la convinzione che una tale persona sia mafiosa, e non riesce però a trovare le prove, ha la via d’uscita di attribuirgli il reato di concorso esterno.

Non solo, ma l’imputazione di concorso esterno ha il vantaggio di permettere l’arresto, anche molto prolungato, e quindi di consentire fortissime pressioni offrendo la liberazione in cambio di una buona confessione e di una chiamata di correo. Voi capite che se poi l’indiziato è davvero mafioso, è un bel colpo alla mafia, e se invece non lo è si tratta di un piccolo danno collaterale che la società può controllare.

Questo modo di pensare, assolutamente maggioritario prima della rivoluzione francese, e prima di Montesquieu e di qualche altro filosofo forse un po’ troppo liberal, sta tornando ad essere largamente maggioritario. Qualcuno, alla mia citazione di Montesquieu, mi ha fornito una risposta geniale: “ma a quei tempi, e perdipiù in Francia, non esisteva la mafia”. Sembra una battuta ma non lo è. È un pensiero profondo. La battaglia per la sicurezza non deve rispondere ai principi fermi del diritto, deve rispondere alle opportunità del momento. La sicurezza è sopra il diritto e uno stato moderno deve fondarsi sulla sicurezza, non sul diritto.

Detto questo, e prima di tornare sull’irriformabilità di una legge che non esiste, facciamo un breve accenno alla natura e all’origine del reato associativo. Siamo, in Italia, poco dopo la metà dell’800. I piemontesi avevano conquistato il Sud ma alcune brigate di ribelli, armati, si opponevano. I piemontesi lio chiamavano i briganti ma non riuscivano a sconfiggerli. Allora furono varate le famose leggi Pica (che mi pare fosse il nome del ministro dell’Interno) che risalgono al 1863, le quali oltre a stabilire varie misure orribilmente repressive, stabilirono che esisteva il reato di associazione (non riferibile necessariamente al compimento di un reato specifico) che permetteva di rastrellare e punire interi villaggi. Diciamo pure: una infamia imperialista. Poi l’Italia ha finito per unirsi davvero, il brigantaggio è finito, la legge è rimasta.

Bene, su questa legge si è innestata la follia - follia persino grammaticale - del concorso esterno, che stabilisce che tu puoi essere colpito anche se non fai parte di una associazione mafiosa perché io -io Pm - penso che comunque la guardi con simpatia. Ora, cerchiamo di essere chiari: Nordio non può abolire questo reato, perché il reato non esiste. Può fare solo una cosa: istituirlo. E questa credo che sia la più grande minaccia per le associazioni della cosiddetta “antimafia militante”. Perché se il Parlamento istituisse il reato dovrebbe dargli dei confini e cadrebbe la discrezionalità dei Procuratori. I Procuratori e i Pm quello e solo quello vogliono: discrezionalità e potere assoluto. Se il concorso esterno dovesse diventare reato vero e proprio perderebbero tutto.

Può diventare reato vero e proprio? Beh, se mantiene questo nome resta in conflitto permanente con la lingua italiana, che esclude che una persona sia esterna ad una associazione e possa essere condannato perché considerato interno. Nella formulazione “concorso esterno”, a rigor di logica, c’è già la motivazione dell’assoluzione. Però Nordio potrebbe voler trasformare le due sentenze della Corte Costituzionale (una del 1994 l’altra del 2005) in legge. E istituire il reato di concorso esterno. Specificandolo, “modulandolo” e dandogli dei confini. Rendendolo una legge dello Stato e riportandolo nei confini della legalità. Oggi chi adopera quel reato e condanna delle persone commette un atto illegale. Dicono che il reato sia di formazione “giurisprudenziale”.

Ma i reati non lo decide la giurisprudenza, la giurisprudenza li studia. Nella costruzione democratica basata sulla distinzione dei poteri i reati può deciderli solo il Parlamento. Il potere rappresentativo. Nordio ha l’occasione per rimettere in regola le cose e trarre molti magistrati fuori dell’illegalità. Del resto fu un grande magistrato impegnatissimo nella lotta alla mafia, Pierluigi Vigna, che nel 2002 spiegò che quel reato non poteva restare aleatorio e in mano alla discrezionalità dei Pm e che andava codificato. Ed esiste un testo di legge che istituisce il nuovo reato scritto di suo pugno.

Ps. Perché la sinistra finisce sempre per schierarsi coi nemici dello Stato di diritto? Credo essenzialmente per un vecchio riflesso. La tendenza a ripetere formule e slogan del passato. Negli anni 60 fare antimafia non era un mestiere redditizio come è ora. La stampa e la Tv davvero negavano l’esistenza della mafia e coprivano le relazioni pericolose tra mafia e politica. Il Pci fu quasi l’unico partito che tentava di opporsi. E insieme al Pci, piccoli gruppi di magistrati davvero coraggiosi. Che perlopiù, oltretutto (ma questo non si sa) erano fortemente garantisti. Come Cesare Terranova. Oggi gli eredi del Pi ripetono un po’ a pappagallo formule politiche di allora, senza accorgersi che in questo modo fanno un danno e non un favore alla democrazia.

Ps. 2 Intervenire sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa è un’offesa a Falcone? Come dice la sorella del giudice Falcone e anche il fratello di Borsellino, che però in quegli anni non erano impegnatissimi sul fronte del contrasto alla mafia. Beh, non è così. Falcone utilizzò l’idea del concorso esterno quando era giudice istruttore, cioè col vecchio codice di procedura, che rispondeva a principi del tutto diversi da quelli del nuovo codice.

Oggi le prove non le raccoglie più il giudice istruttore Falcone è stato l’ultimo grande giudice istruttore), le prove si formano al processo. Esiste un libro che si chiama “Interventi e proposte” e che raccoglie tutti gli interventi pubblici di Falcone nel decennio 82-92. Bene, in uno di questi interventi Falcone spiegò che con il nuovo codice il reato di concorso esterno non era più configurabile. Disse di più: mise in discussione la compatibilità tra muovo codice e reato associativo. Bisogna conoscerlo Falcone, non basta gridare il suo nome.