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di Eleonora Camilli

La Stampa, 28 giugno 2024

Invece di respingerli, la Asso 29 avrebbe dovuto condurli in Italia. Giudicato illegittimo anche il fermo nel marzo scorso della Humanity 1. L’accusa per l’equipaggio era di non aver seguito le istruzioni delle autorità libiche. La Asso 29 avrebbe dovuto “condurre i migranti in Italia, non in Libia”. Perché “il fatto che la Libia non sia un luogo sicuro costituisce, allo stato, acquisizione pacifica nella giurisprudenza di legittimità”. Lo dice chiaramente il tribunale di Roma nella sentenza sul caso Asso 29 con cui condanna non solo il capitano della nave, ma anche la società armatrice Augusta Offshore, i ministeri della Difesa, dei Trasporti, la Presidenza del Consiglio.

Il caso risale al 2018, i ricorrenti sono 5 migranti eritrei che dopo essere stati soccorsi in mare sono stati riportati in Libia dal mercantile italiano. E, in questo modo sono stati esposti alla violazione dei loro diritti, perché come affermato anche da altre sentenze “la Libia non è un luogo sicuro” in cui può concludersi un’operazione di ricerca e soccorso.

Il mercantile Asso 29 il 2 luglio 2018 sotto il coordinamento dalla nave militare italiana Duilio era intervenuto in soccorso di una motovedetta libica in avaria che aveva da poco intercettato un’imbarcazione con circa 150 persone a bordo. Sotto il coordinamento italiano e libico, la Asso 29 aveva ricondotto le 150 persone a Tripoli, dove erano state detenute e torturate nei centri di detenzione di Tarik Al Sikka, Zintan, Tarik Al Matar, Gharyan. Cinque persone sopravvissute, tra cui un bambino che aveva due anni all’epoca dei fatti e una donna allora incinta all’ottavo mese, all’inizio del 2021 hanno agito in giudizio chiedendo il risarcimento del danno subito a seguito della condotta delle autorità italiane e del capitano della nave. Dopo essere arrivati in Europa alcuni attraverso corridoi umanitari, altri attraversando nuovamente il Mediterraneo hanno ricevuto il riconoscimento della protezione internazionale e hanno presentato il ricorso.

Attorno al caso del respingimento della Asso 29 si è mobilitata la società civile italiana: Amnesty International, ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e il collegio difensivo composto da avvocate e avvocati (Cristina Laura Cecchini, Giulia Crescini, Salvatore Fachile, Alberto Guariso, Lucia Gennari, Loredana Leo e Luca Saltalamacchia) insieme al Josi&Loni Project. “Sono numerose le persone sopravvissute a quel respingimento che si trovano ancora in Libia e con le quali stiamo lavorando affinché possano entrare legalmente in Italia e chiedervi protezione” raccontano i legali di ASGI.

“Il ministro Piantedosi continua a sostenere che Tunisia e Libia sono Paesi sicuri, solo perché anche l’Ue finanzierebbe in parte il nostro intervento a sostegno delle operazioni di respingimento delegato alle rispettive guardia costiere - aggiunge Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di Arci -. È evidente che il ministro, in linea con tutto il governo, non riesce ad arrendersi al fatto che chi governa non è al di sopra delle leggi e anzi dovrebbe dare l’esempio e rispettare soprattutto la Costituzione e il diritto internazionale”.

Il caso della Humanity 1 - Intanto sempre oggi è arrivata un’altra sentenza che stigmatizza il comportamento del governo rispetto alle ong che fanno salvataggio in mare. Il tribunale di Crotone ha infatti giudicato illegittimo il fermo nel marzo scorso della Humanity 1. L’accusa per l’equipaggio era di non aver seguito le istruzioni delle autorità libiche. “La decisione di Crotone finalmente ristabilisce l’ordine corretto del discorso”, spiega Cristina Laura Cecchini, avvocato di SOS Humanity. “Ribadisce come le autorità libiche, che commettono quotidianamente violazioni dei diritti delle persone in fuga non sono attività di ricerca e soccorso anche perché, riconducendo le persone in Libia, non terminano con lo sbarco in un luogo sicuro come impone il diritto internazionale”.

Molto duro anche Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi e Sinistra. “Il ministro Piantedosi può continuare tranquillamente a definire la richiesta di cambiare o di abolire la Legge Bossi-Fini uno slogan, facendo finta di non capire che è proprio quella normativa da decenni ormai che sta dimostrando tutti i fallimenti dei governi nelle politiche sui flussi migratori. Tuttavia sia Piantedosi che Meloni non possono far finta di niente di fronte alle continue sentenze della magistratura che sgretolano tutti i provvedimenti ingiusti e inutilmente feroci decisi da questo governo - dice -. L’ultima sentenza arriva dal tribunale di Crotone ed è chiara. Addirittura il ministero di Salvini, quello di Piantedosi e quello di Giorgetti, insieme alla locale questura e alla Guardia di Finanza devono corrispondere un risarcimento alla Ong. E anche la Corte d’Appello di Roma, pur confermando la prescrizione per due alti ufficiali della Marina Militare sul naufragio e il ritardato soccorso di Nave Libra che nel 2013 provocò vittime, ha rigettato le assoluzioni confermando il carattere criminogeno del comportamento che ritardò i soccorsi”.