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di Errico Novi

Il Dubbio, 7 febbraio 2024

Il Pd fa arrivare in commissione gli atti dell’Avvocatura di Stato sul caso Cavallotti: “Il codice non va toccato”. È una marcia di avvicinamento. Lenta quanto si vuole. Ma è ormai evidente che la Corte europea dei Diritti dell’uomo intende vederci chiaro ed esprimersi a breve sul codice antimafia italiano. In particolare sulle misure di prevenzione patrimoniali. Materia che inizia ad arroventare anche il confronto politico. A cominciare dal suo più naturale perimetro: la commissione parlamentare Antimafia. Non potrebbe che essere così. E alcuni dati emersi negli ultimi giorni attestano, in modo inequivocabile, l’approssimarsi del conflitto, nella Bicamerale di Palazzo San Macuto.

Va considerata innanzitutto la richiesta avanzata dal Pd, e in particolare dal capogruppo in Antimafia Walter Verini, di acquisire agli atti della commissione le repliche trasmesse alla Corte di Strasburgo dall’Avvocatura dello Stato nell’ambito del ricorso Cavallotti. All’istanza di Verini, che Palazzo Chigi ha soddisfatto pochi giorni fa, risponderà a breve la richiesta “simmetrica” del capodelegazione di Forza Italia Pietro Pittalis, che solleciterà l’Ufficio di presidenza retto dalla meloniana Chiara Colosimo ad accogliere, nella documentazione, anche le controdeduzioni inviate ai giudici europei dai difensori della famiglia Cavallotti, che ha proposto il ricorso in questione.

Il tutto in un quadro molto delicato. Ìntanto perché, sulla causa intentata dalla famiglia di imprenditori palermitani (vittime della confisca definitiva di tutti i loro beni nonostante la piena assoluzione nel processo penale), la Cedu potrebbe pronunciarsi nel giro di qualche mese, con effetti potenzialmente dirompenti per la tenuta del codice antimafia. Ma il quadro è politicamente pesante anche per la discussione che, sulle “misure di prevenzione”, potrebbe aprirsi nei prossimi giorni in commissione Giustizia alla Camera, dove lo stesso Pittalis ha ottenuto che venga calendarizzata a breve una proposta di FI relativa alle norme sulle confische. L’obiettivo degli azzurri è scongiurare altri casi clamorosi come quello dei Cavallotti, un tempo leader non solo siciliani nella metanizzazione e travolti dalle misure del Tribunale di Palermo (allora guidato, nella sezione “Prevenzione”, da Silvana Saguto) nonostante tutti gli argomenti alla base delle confische fossero stati smentiti dalle testimonianze raccolte nel corso del processo penale.

Non è finita qui. A fronte delle decisioni con cui la Corte europea potrebbe abbattere, in quanto contraria ai principi del diritto, una parte decisiva della legislazione antimafia italiana, anche il partito della premier medita di correre ai ripari. È in particolare la capogruppo Giustizia di FdI Carolina Varchi ad aver messo in cantiere un’altra proposta sulle misure di prevenzione. Diversa da quella forzista ma comunque in grado di tenere in piedi i pilastri del codice antimafia anche qualora la Cedu condannasse l’Italia per gli abusi in materia di confische.

È chiaro che la partita, in corso su più tavoli, ha un rilevo politico gigantesco, anche per l’imminenza delle elezioni europee. “Noi siamo contrari a un indebolimento del sistema della prevenzione antimafia”, spiega al Dubbio il capogruppo dem Verini. “Va chiarito che, a fronte di un’avanzata preoccupante dei poteri criminali, attestata sistematicamente dalle audizioni svolte nella Bicamerale, il legislatore ha già aperto pericolose smagliature: dall’innalzamento della soglia per l’uso del contante al nuovo codice che, per esempio, riduce il limite per i subappalti. Senza considerare lo stop ai controlli paralleli della Corte dei Conti sulle opere del Pnrr e, last but not the least, l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Noi, come Pd, riteniamo che, in un quadro del genere, sia sbagliato intervenire sul codice antimafia”, dice Verini, “le garanzie vanno assicurate, ma in una cornice in cui tutti questi cedimenti legislativi, che possono favorire i poteri criminali, vengano profondamente riconsiderati”.

Le parole di Verini di fatto preludono a uno scontro che, sul caso Cavallotti e non solo, potrebbe rapidamente precipitare. In Parlamento e in particolare nella commissione Antimafia. È chiaro che in vista del voto europeo, le scelte sul contrasto al crimine organizzato diventeranno terreno di conflitto tra i partiti.

Ma è chiaro anche che sarebbe incredibile se, in nome della sfida elettorale, il Parlamento lasciasse sul tappeto le gravi questioni aperte dal caso Cavallotti, e ormai trasversali a diversi altri ricorsi finiti davanti alla Corte europea. Una di queste cause, la 76967 del 2017, è stata di recente riqualificata, dai giudici di Strasburgo, come “caso pilota”, le cui conclusioni potranno cioè essere applicate ad altri ricorsi analoghi: nel mirino della Cedu ci sono appunto “le disposizioni del codice antimafia che individuano i destinatari delle misure di prevenzione”, “la natura della confisca”, “il rispetto del diritto di difesa” e del “principio di proporzionalità”.

Di fatto la Corte dei Diritti umani è pronta a mettere in discussione l’intera filosofia del “doppio binario” con cui l’Italia, da anni, calpesta le tutele costituzionali: dal diritto di difesa alla presunzione d’innocenza e al giusto processo. Ma resta difficile, almeno di qui a giugno, che i princìpi di base e la lotta politica possano viaggiare di pari passo.