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di Federico Berni

Corriere della Sera, 11 marzo 2023

Il genitore dell’ambasciatore ucciso in Congo dopo la richiesta di condanna a morte della procura di Kinshasa: “Non ci interessano le vendette. Se davvero è stato un omicidio premeditato bisogna capire chi è il mandante”. “Aggiungere morte a morte non serve a nulla. Se non a portare altro dolore. Noi siamo contrari, Luca sarebbe stato contrario”. È l’unica certezza di Salvatore Attanasio in una vicenda, quella della morte del figlio Luca, l’ambasciatore ucciso in Congo nel febbraio 2021 assieme all’autista Mustapha Milambo e al carabiniere Vittorio Iacovacci, che presenta ancora tanti punti oscuri. A Kinshasa, la Procura ha chiesto la condanna a morte per i sei uomini imputati per l’omicidio del diplomatico. Nella Repubblica Democratica del Congo la pena capitale non viene applicata dal 2003 e la prassi vuole che sia modificata nel carcere a vita.

Cosa le suscita questa possibilità?

“Siamo contro la pena di morte. Lo dicono la nostra Costituzione, il nostro senso civico, la nostra formazione cattolica. Sono gli stessi principi in cui si identificava nostro figlio. La pena capitale non potrà mai alleviare il dolore della nostra famiglia”.

Che cosa vi aspettate dal processo?

“Quello che ci interessa non sono le vendette, ma la chiarezza. Il pm, in Congo, ha sostenuto che non si è trattato di un agguato né di un tentativo di rapimento degenerato, come ricostruito inizialmente, ma di una vera e propria esecuzione”.

Può esserci il coinvolgimento di altre persone, secondo voi?

“Se davvero si è trattato di un omicidio premeditato, allora bisogna capire chi è il mandante, sempre che non ce ne sia più di uno, e non fermarsi soltanto agli esecutori”.

Chi avrebbe potuto volere la morte di suo figlio?

“Questo non lo sappiamo. Lui lavorava a progetti umanitari, promuoveva la scolarizzazione e percorsi di recupero per bambini svantaggiati, non so se questo abbia potuto dare fastidio a qualcuno”.

Come vi tenete aggiornati su un processo che si svolge in un Paese così lontano?

“Siamo in contatto con gli avvocati del ministero degli Esteri, che stanno studiando gli atti per comprendere meglio tutti gli aspetti emersi”.

Vede responsabilità nella preparazione della spedizione del Programma alimentare mondiale dell’Onu (Pam) in cui il 22 febbraio 2021 è stato ucciso suo figlio?

“Il 25 maggio, a Roma, è prevista l’udienza preliminare nei confronti di due dipendenti del Pam (Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, organizzatori della spedizione accusati di omicidio colposo, ndr); confido che possano emergere molti aspetti chiarificatori”.

Quanto è forte ancora l’emozione per vostro figlio, nella comunità in cui è cresciuto?

“Oggi il ricordo di Luca vive con l’associazione “Mama Sofia”, fondata assieme alla moglie (Zakia Seddiki ndr), e agli “Amici di Luca Attanasio”, un altro gruppo nato per promuovere i valori dei suoi progetti umanitari. Fanno incontri con gli studenti. La comunità locale, qui in Lombardia, non lo ha dimenticato. Nel suo liceo gli hanno intitolato la palestra. A Limbiate, il paese dove viviamo noi genitori, dove è cresciuto e con cui non aveva mai reciso il legame, porta il suo nome la villa storica. A Rho hanno apposto una targa nel Giardino dei giusti. Luca non c’è più, la nostra vita è stravolta, ma il suo messaggio vive ancora”.