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di Giuseppe Di Federico*

L’Unità, 6 gennaio 2024

Il caso del giudice Zanon, contrario alla decisione della Corte sul caso Ferri, mette in luce un’abitudine solo italiana: in altri Paesi dalla democrazia evoluta vige la “dissenting opinion”. Nei giorni scorsi vari giornali ci hanno informati che in un conflitto di competenza tra la Camera dei deputati e il Csm la Corte costituzionale ha dato ragione al Csm. Alcuni giudici costituzionali ritenevano che avesse ragione il Parlamento. Uno di essi, il Professor Zanon, ha anche affermato che la Corte ha volutamente e intenzionalmente dato ragione al Csm venendo meno al suo dovere di imparzialità.

La gravità dell’evento non può essere compresa se non si considera il particolare rilievo e le peculiari caratteristiche delle sentenze della Corte costituzionale rispetto a tutti gli altri organi giurisdizionali. A riguardo va ricordato che le corti costituzionali esercitano uno dei poteri di maggior rilievo politico in democrazia, e cioè quello di dichiarare incostituzionali le leggi approvate dalle assemblee legislative, cioè dalla maggioranza dei rappresentanti della sovranità popolare.

La nostra Corte Costituzionale non è seconda a nessuna nell’esercizio dei suoi rilevanti poteri: non solo ha dichiarato incostituzionali, come è suo compito, norme approvate dal nostro Parlamento ma ha anche, in alternativa, ricorrentemente stabilito quale dovesse essere la loro interpretazione da parte di tutti i poteri dello Stato. A volte ha anche incluso nel nostro sistema giuridico norme che il Parlamento non aveva mai votato. Alcune delle sue decisioni hanno persino determinato ingenti spese aggiuntive per l’erario dello Stato.

Va anche ricordato che, a differenza di quanto avviene per gli altri organi giudiziari, le decisioni delle Corti Costituzionali, in Italia come negli altri paesi democratici, sono inappellabili nonostante il grande rilievo che assumono a livello istituzionale e per la protezione delle libertà e dei beni dei cittadini.

A riguardo di questa assenza di rimedi un noto presidente della Corte costituzionale (Supreme Court) degli Stati Uniti, Harlan Stone, giustamente affermava che “l’unico controllo sul nostro esercizio del potere è costituito dal nostro self restraint”, cioè dal nostro autocontrollo.

Per rendere concreti gli stimoli all’autocontrollo dei giudici costituzionali di numerosi Paesi (come Stati Uniti, Germania, Spagna, Australia) e anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, hanno, tra l’altro, adottato l’istituto della opinione dissenziente (dissenting opinion) con il quale si consente ai giudici costituzionali che nei singoli giudizi rimangono in minoranza, non solo di motivare il loro dissenso e di fornire circostanziate e diverse interpretazioni delle norme costituzionali, ma anche di veder pubblicate le motivazioni delle loro opinioni dissenzienti contestualmente a quelle della maggioranza.

La prospettiva stessa di vedere contraddette le proprie scelte interpretative da altri giudici della stessa corte induce tutti i giudici ad un autocontrollo nell’uso della discrezionalità interpretativa di cui dispongono. Se da un canto l’istituito della dissenting opinion ha l’obiettivo di promuovere il self restraint dei giudici costituzionali, dall’altro serve anche ai cittadini per meglio valutare il lavoro della Corte, per conoscere quanti sono i casi in cui si sono manifestati sostanziali ragioni di dissenso e i benefici (o i danni) che possono discendere dalla varie interpretazioni; eventualmente anche a giudicare se il passato politico dei singoli giudici o le modalità con cui sono stati scelti possa aver influito sulle loro decisioni.

Sono strumenti e funzioni di trasparenza del tutto estranei alla nostra Corte Costituzionale. Le sue sentenze vengono sempre presentate come fossero unanimi. Nessun rilievo o effetto condizionante ha potuto quindi avere nel caso dianzi citato il disaccordo del giudice Zanon e di alcuni altri giudici costituzionali. Vengono di fatto considerati corresponsabili di una decisione che hanno avversato. Inoltre, a differenza di quanto avviene in altri paesi democratici, i cittadini e studiosi del nostro paese non hanno potuto avere piena e articolata conoscenza né dei motivi del dissenso, né delle modalità con cui si è formata la maggioranza, né di chi sono stati i giudici “di maggioranza e di opposizione”.

Va subito aggiunto che il voto dissenziente non è vietato dalla nostra Costituzione. A favore della sua adozione si sono espressi in passato giudici della nostra Corte costituzionale e grandi giuristi come Costantino Mortati e Giuliano Vassalli. Basterebbe una breve legge per imporla (c’è qualcuno in ascolto?). Per la verità l’opinione dissenziente potrebbe essere anche adottata con autonoma decisione della stessa Corte costituzionale. In effetti, in passato i giudici della Corte considerarono questa eventualità ma decisero di non volersi assumere la personale responsabilità dei giudizi che esprimevano, molto meglio proteggersi coll’anonimato di un giudizio formalmente unanime.

Due postille. La prima. Sarebbe a mio parere utile che il Prof. Zanon scrivesse e pubblicasse ora il testo della opinione dissenziente che non ha potuto scrivere quando era giudice. Sarebbe utile perché darebbe una testimonianza concreta sia dell’efficacia di quell’istituto per la trasparenza della Corte, sia delle difficoltà che la piena conoscenza del testo della sua opinione dissenziente avrebbe potuto creare alla maggioranza della Corte nel corso del giudizio. La seconda. I rilievi mossi in questo articolo alle caratteristiche funzionali della nostra Corte costituzionale sono ben lungi dal rappresentare le profonde anomalie della Corte stessa rispetto a quelle degli altri Paesi democratici. È materia complessa che non può trovare spazio in un solo articolo di giornale. Ne ho fatto una sintesi in un articolo “L’anomala struttura della Corte Costituzionale italiana”, in www.archiviopenale.it, 2021, 3.

*Professore emerito di Ordinamento giudiziario dell’Università di Bologna