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di Giovanni Maria Jacobazzi

Il Dubbio, 3 ottobre 2023

Sono pronti a lasciare l’incarico l’attuale presidente Silvana Sciarra e i due vice presidenti, Daria de Pretis e Niccolò Zanon. Nelle prossime settimane dovranno essere scelti tre nuovi giudici della Consulta, uno nominato da Parlamento, due dal presidente della Repubblica. Sono pronti a lasciare l’incarico l’attuale presidente Silvana Sciarra e i due vice presidenti, Daria de Pretis e Niccolò Zanon. I tre, professori di materie giuridiche, avendo giurato il 14 novembre 2014 si apprestano infatti a terminare il mandato che dura nove anni e non può essere rinnovato.

I giudici della Consulta, come prevede la Costituzione, “sono scelti tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori ordinarie e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati con più di venti anni di attività professionale forense. Nel momento in cui il soggetto diventa giudice della Corte deve interrompere l’eventuale attività di membro del Parlamento o di un Consiglio regionale, di avvocato e di ogni carica e ufficio stabiliti dalla legge”, prosegue la Costituzione.

Per i giudici di nomina parlamentare, la loro elezione avviene in seduta comune e a scrutinio segreto. La maggioranza richiesta è dei due terzi dei componenti dell’assemblea. Per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente invece la maggioranza dei tre quinti. La nomina dei tre nuovi giudici in tempi rapidi è di fondamentale importanza in quanto per poter funzionare la Consulta è necessario che ci sia la presenza di almeno undici giudici. Negli ultimi tempi la Consulta ha assunto un ruolo sempre più invasivo, non lesinando critiche al Parlamento. “Un giorno non lontano - ha recentemente ricordato la presidente Sciarra si dovrà fare un bilancio molto puntuale in merito a questa apertura di credito al Legislatore che, purtroppo, su temi molto sensibili e socialmente rilevanti, non ha portato sempre a risultati soddisfacenti e rapidi per i cittadini.

Quello della leale collaborazione tra le Istituzioni - ha aggiunto - è un tema molto delicato che trova la sua ragion d’essere nella reciprocità e, appunto, nella lealtà tra i diversi soggetti istituzionali. Ritengo che la Corte, nel solco tracciato dallo spirito repubblicano di collaborazione con il legislatore, possa anche, in alcune circostanze peculiari, autolimitare il proprio potere e scegliere di concedere il tempo necessario al Parlamento per confezionare una nuova legge”. Una critica che non è stata apprezzata dalla maggioranza che sostiene la premier Giorgia Meloni e che ha ora la possibilità di “cambiare registro”, nominando una figura più in linea con l’attuale linea politica. Per i nomi è presto, ma certamente la scelta si orienterà, dopo anni, su una personalità con esperienze politiche e di ordinamento giudiziario e non solamente accademiche.