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di Giuseppe De Marzo

L’Espresso, 19 marzo 2023

Si svolge a Milano la manifestazione di Libera per la Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime innocenti della criminalità organizzata. Un fenomeno che ingrassa nella povertà e nell’assenza di diritti. Ma è possibile cambiare le cose.

Giuseppe Montalbano era un medico mazziniano che ha combattuto nella spedizione dei Mille, tra gli artefici della rivoluzione palermitana del 1848. Fu ucciso la sera del 3 marzo 1861 per aver difeso la terra dei contadini ed essersi battuto contro le usurpazioni degli agrari e dei baroni. Giuseppe è il primo morto per mafia. Anna Nocera è invece la prima vittima di femminicidio di mafia. Aveva 17 anni quando scomparve, il 10 marzo 1878, per mano di Leonardo Amoroso. Da allora la lista di nomi di uomini e donne vittime innocenti delle mafie si è drammaticamente allungata.

Nomi come Caterina Nencioni, che aveva appena 50 giorni quando è stata uccisa, assieme alla sua famiglia, dalle bombe di via dei Georgofili, a Firenze, il 27 maggio del 1993. O come Antimo Imperatore, operaio ucciso lo scorso anno a cinquantasei anni mentre stava montando una zanzariera a casa del vero obiettivo del killer. O coloro che sono stati uccisi per il loro l’impegno per la democrazia e i diritti costituzionali. Tantissimi i sindacalisti. Come Luciano Nicoletti, ucciso nel 1905 a Corleone per le lotte al fianco dei contadini; come il partigiano Placido Rizzotto, nel 1948, o come Domenico Geraci, nel 1998, che aveva denunciato le infiltrazioni nel suo territorio.

L’elenco delle vittime innocenti delle mafie si arricchisce anche di molti cittadini stranieri. Come Derk Wiersum e Peter de Vries, uccisi ad Amsterdam per essere diventati avvocato e consigliere di fiducia di Nabil B., testimone chiave del processo contro Ridouan Taghi, boss della criminalità organizzata marocchino-olandese. Per non parlare delle vittime tra i giovani migranti, uccisi per mano del caporalato nelle campagne pugliesi e della provincia di Caserta. Come Hyso Telharaj, che aveva 22 anni l’8 settembre del 1999, quando è stato ucciso dai caporali per non aver ceduto al loro ricatto a Borgo Incoronata, una frazione di Foggia. Nel lunghissimo elenco delle vittime anche magistrati, come Pierre Michel, attivisti come Luc Nkulula, e molti giornalisti.

Nomi e vite che non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Perché le storie delle vittime innocenti delle mafie sono indispensabili per ricostruire e mantenere viva la memoria del nostro Paese. Una memoria, invece, che in molti vorrebbero cancellare o annacquare. Perché senza memoria non ci si orienta. Senza memoria non siamo in grado di vivere il nostro presente appieno. E non possiamo decifrare il futuro.

È la memoria che costruisce la nostra identità, ricordandoci gli errori per evitare di commetterne altri. Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere, diceva José Saramago. Ma quando il giardino della memoria inizia a inaridire, come sembra raccontare questa fase difficilissima della nostra democrazia, è nostro compito accudire le ultime piante e le ultime rose rimaste con un affetto ancora maggiore. Perché sono la nostra speranza, come ci ricorda Orhan Pamuk.

Il prossimo 21 marzo, anche quest’anno, la rete di Libera per accudire e tenere viva la memoria porterà in piazza i nomi, i numeri e le associazioni contro le mafie. Lo farà in quella che è diventata la Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime innocenti delle mafie grazie alla legge n.20 del 2017. Lo slogan della manifestazione “è possibile” ricorda a tutti e tutte come in un momento storico in cui le difficoltà sono numerose, con la crisi ambientale, sociale ed economica aggravata dalla pandemia e la vulnerabilità politica internazionale provocata dalla guerra, abbiamo il dovere di indicarci insieme la strada, di dirci dove può e deve portarci il nostro impegno comune.

La manifestazione, giunta alla ventottesima edizione, si svolgerà questa volta a Milano, con il corteo della mattina, la lettura dei nomi e i seminari nel pomeriggio. A Milano perché le mafie negli ultimi anni si sono espanse e radicate soprattutto nel Nord, modificando il loro modo di agire, organizzandosi in maniera reticolare.

Le mafie oggi sono più forti nel Paese. Non hanno bisogno di spargere troppo sangue come in passato. Si sono adattate continuando a essere il collante della zona grigia, dove si trova la vera forza delle mafie. Perché la forza delle mafie sta nella convergenza degli interessi economici, nella negazione dei diritti sociali, nella povertà culturale e relazionale, nel familismo amorale, nel patriarcato che legittima la cultura mafiosa, nel relativismo democratico, nell’insofferenza per la democrazia, nella cultura della scorciatoia, nella deresponsabilizzazione individuale che sposa l’idea dell’uomo forte al comando.

Le mafie hanno sfruttato al meglio le condizioni create dalla crisi sociale e ambientale che ha colpito la maggioranza della popolazione dal 2008. L’aumento senza precedenti nella storia della Repubblica delle disuguaglianze le ha favorite. In assenza di risposte dello Stato, come avviene in troppi territori del nostro Paese, le mafie sono diventate l’unica risposta possibile a chi è in difficoltà. Ci chiediamo come può definirsi libero, democratico e sicuro un Paese in cui negli ultimi 15 anni la povertà assoluta è quasi triplicata (5,7 milioni di persone), quella relativa raddoppiata (9,6 milioni) mentre dispersione scolastica (17,6%) e analfabetismo di ritorno (colpisce un italiano su tre!) hanno raggiunto livelli senza precedenti.

Le mafie non nascono dalla povertà, ma di essa si nutrono per sviluppare i loro affari e le loro trame di potere. Attraverso il welfare sostitutivo mafioso penetrano nelle periferie per organizzare eserciti di manodopera di riserva, rubando le vite di centinaia di migliaia di giovani ai quali il nostro Paese non dà futuro. Proprio i nostri giovani sono i più colpiti dalla crisi in Europa. Questo dicono tutti i dati. La colpa è dell’assenza di misure e investimenti adeguati, per il lavoro, la ricerca, la scuola, i servizi sociali. Ai giovani non vengono date opportunità, ma viene proposto solo un futuro peggiore del pessimo presente in cui sono costretti a vivere. E se trovi lavoro quasi sempre finisce presto: 7 su 10 sono i lavoratori precari in Italia. Mentre siamo tra i pochissimi rimasti senza un salario minimo legale.

Sfruttamento, precarietà, esclusione sociale sono alleati delle mafie. Anche durante la pandemia sono riuscite a trarre vantaggio. Lo confermano tutti i reati spia (riciclaggio, frodi fiscali, operazioni finanziarie sospette, gioco d’azzardo online, ecc.) in enorme crescita ovunque. Siamo passati dalla pandemia delle disuguaglianze alla variante criminalità.

Sono troppi anni che la politica sottovaluta la forza delle mafie. Nelle campagne elettorali ormai è un tema quasi scomparso, o toccato con una semplificazione imbarazzante che dimostra come si stiano smarrendo conoscenze e memoria. La crescita della corruzione conferma come la politica sia spesso inerme o complice. La “normalizzazione” del fenomeno mafioso è il rischio che corriamo. Per le forze politiche sconfiggere le mafie deve tornare a essere una priorità. Perché non basta il lavoro fondamentale di magistratura e forze dell’ordine. Abbiamo bisogno di politiche sociali in grado di aiutare nel contrasto alle mafie.

Da tempo chiediamo a chi governa di introdurre anche nel nostro Paese i cosiddetti “pilastri sociali europei”: tra cui il diritto all’abitare, al reddito minimo garantito e a servizi sociali di qualità. Sono strumenti fondamentali per garantire la giustizia sociale e sconfiggere le mafie. Cancellare il reddito di cittadinanza, come fa il governo Meloni, non è solo un’operazione cinica e classista, ma un regalo per le mafie che potranno ricattare ancora di più persone costrette a sbarcare il lunario a causa dell’assenza di politiche sociali e del lavoro idonee a garantire loro diritti e dignità. Come impone la nostra Costituzione.

Per sconfiggere mafie e corruzione abbiamo bisogno di politiche e investimenti coerenti, oggi ancora più necessari in un Paese non solo impoverito, ma dove la maggioranza dei cittadini non vota più perché ritiene che i politici siano tutti uguali. Guai ad accettarlo, perché equivarrebbe a dire che è finita la democrazia. Invece, “è possibile” cambiare le cose se partiamo dalla nostra memoria e riprendiamo a camminare insieme seguendo la stella polare della nostra Costituzione. A Milano il 21 marzo “è possibile”! Facciamo Eco!