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di Marina Lomunno

La Voce e il Tempo, 24 novembre 2023

La morte violenta di Giulia - la ragazza assassinata in Veneto dall’ex fidanzato - mi interroga nel profondo, innanzitutto come madre, su che “razza” di genitori siamo, noi generazione del boom economico, noi “boomer” come ci chiamano i nostri figli. E ancor più mi interroga, dopo aver incrociato gli sguardi di alcune delle centinaia di ragazzi e ragazzi che affollavano venerdì scorso la Cattedrale di Torino per ascoltare il nostro Arcivescovo: “Si parla spesso di voi come di un problema, invece che come una risorsa”, ha scritto mons. Repole nella lettera inviata a tutti i giovani delle diocesi Torino e Susa per invitarli alla catechesi. “E, quando si pensa a voi in positivo, lo si fa solo in termini di profitto economico che si potrebbe trarre dalle nuove generazioni. Soprattutto sono molto dispiaciuto del fatto che pochissimi sappiano offrirvi qualcosa per cui possiate sognare e guardare con fiducia al futuro. Sono ormai una rarità coloro che sanno dirvi per che cosa vale la pena di vivere”.

In tanti sono venuti per sentire dall’Arcivescovo una parola di consolazione, una risposta alla domanda “per che cosa vale la pena vivere?”. Giulia e Filippo non sono ragazzi disagiati cresciuti in contesti difficili, in situazioni di povertà o emarginazione sociale. Non sono stranieri arrivati con i barconi facile preda delle mafie, né figli di camorristi o cresciuti in famiglie disfunzionali. Sono universitari, nati in famiglie del ceto medio nel ricco Nord Est, non a Scampia. “Ragazzi normali”, come si diceva 22 anni fa dei due ragazzi di Novi Ligure che dal febbraio 2001, per settimane, riempirono le cronache dei giornali e dei dibattiti televisivi dove si alternavano psichiatri, psicologi, criminologi e sociologi per cercare di capire come due “ragazzi normali”, appunto, avessero potuto commettere delitti così efferati. Così succederà per Filippo e per la povera Giulia, ammazzata alla vigilia della laurea dal suo compagno di studi e fidanzatino: tutti a chiedersi come mai? Perché? Era un “ragazzo normale”…

Anche qui come allora ci sono due famiglie distrutte: quella di Giulia, perché non ha capito quanto “tossico” fosse quel rapporto “affettivo”; la famiglia di Filippo che si tormenterà per tutta la vita su come non abbia potuto accorgersi di aver cresciuto un assassino…

Due “ragazzi normali” che ci interrogano, che interrogano tutti noi genitori: cosa sappiamo dei nostri figli? Quanto li aiutiamo, al di là di riempire la loro vita accontentandoli in tutto per far tacere i nostri sensi di colpa per le nostre assenze, presi dalla frenesia delle nostre giornate piene? Come colmiamo il loro vuoto se non insegniamo loro che noi “boomer” abbiamo fatto fatica a conquistare un posto nella società e che i divieti, le sconfitte fanno crescere? Genitori “spazzaneve ed elicotteri” qualcuno ci ha definiti… Anche io sono stata una madre così, perché spesso non ho retto la frustrazione di mia figlia. Ma quanto bene le ho fatto comprandole un giocattolo o un vestito, piuttosto che passare un pomeriggio con lei a raccontarle di quante lacrime ho versato alla sua età perché i miei genitori non mi accontentavano in tutto?

Filippo, l’assassino di Giulia, non accettava di essere lasciato, aveva paura di rimanere solo: quanta solitudine tra i nostri ragazzi… Giulia non ha trovato nessuno con cui parlare della paura per quel ragazzo possessivo che non la mollava? Quanta solitudine… Ma dove sono gli adulti in questa storia? Dove sono io, mamma?

Sono passati 22 anni dai fatti di Novi Ligure, eppure siamo ancora lì a chiederci perché i “ragazzi normali” possono essere protagonisti di vicende così poco “normali”. Uccidere la “morosa” che ti ha lasciato perché non ce la fai a reggere la solitudine che hai dentro è normale? È normale uccidere la mamma e il fratellino perché il tuo fidanzatino non piace alla tua famiglia? La risposta - come più volte richiama il nostro Arcivescovo e lo ha ripetuto ai giovani assiepati venerdì in Cattedrale - è ancora la stessa di allora: è il vuoto educativo e culturale che da decenni annienta le nuove generazioni, figli di noi genitori disattenti, intossicati dal pianificare le loro vite senza considerare le loro inclinazioni; dal dare loro “cose materiali” e non tempo per ascoltarli, consolarli, abbracciarli per colmare il vuoto che fa cadere nel panico i “Filippo” che non sopportano di essere lasciati soli, uccidono la “tua” ragazza che ti ha allontanato e poi scappano. Filippo è fuggito da sé stesso perché non c’è luogo dove andare dopo aver “eliminato” fisicamente chi pensavi di amare… Ora che la sua corsa si è fermata avrà molto tempo in carcere - glielo auguriamo - per ricostruire i pezzi della sua vita come dice l’art.27 della Costituzione italiana: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

“Questa minaccia alla nostra sete di vita e al nostro desiderio di un senso per cui esistere ci viene anche da tutte le mille persone tristi, pure adulte, che incontriamo attorno a noi” ha ricordato l’Arcivescovo ai giovani in Cattedrale. “È davvero difficile incontrare oggi degli adulti sereni, che trasmettono un senso di pace, che ci manifestano con il loro modo di essere e di vivere di essere contenti della vita che fanno, del lavoro che svolgono, delle relazioni che hanno… È più facile incontrare delle persone intristite e annoiate che ci mandano il messaggio - anche senza parlare - che la vita non è bella e promettente, che non ci possiamo spendere per qualcosa che ci dà appagamento profondo e gioia vera”.

Ma dove sono gli adulti in questa storia? Quali adulti - genitori, insegnanti, educatori - hanno incrociato le strade di Giulia e Filippo? Che madri e padri siamo? Fermiamoci: lo dobbiamo ai nostri figli, lo dobbiamo a Giulia ammazzata perché ha detto “no” a Filippo che non si è rassegnato ad essere lasciato perché non siamo stati capaci di insegnargli che nella vita non tutto è dovuto. E che, come il giovane ricco del Vangelo che chiede a Gesù “cosa devo fare per dare senso alla mia vita” - tema della catechesi proposta dall’Arcivescovo - “se davvero vuoi vivere, e se davvero vuoi trovare un senso per la tua vita, allora guarda l’altro, renditi conto dell’altro, di chi ti sta vicino, di chi ti capita di incontrare ogni giorno. Vagli incontro, come qualcuno che è davvero altro da te e prenditi cura di lui, della sua vita. Perché? Perché è solo se hai il coraggio di non essere concentrato su te stesso, rinchiuso nei tuoi pensieri, nelle tue paure, nei tuoi fantasmi, nei tuoi bisogni… è solo se esci dal guscio di te stesso e incontri qualcun altro che cominci davvero a respirare e a vivere”.