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di Liana Milella

La Repubblica, 19 novembre 2023

Il pacchetto sicurezza prevede anche nuove norme per la maternità in carcere. Negli Istituti a custodia attenuata potranno essere recluse condannate in gravidanza o con figli molto piccoli. Giusto in Campidoglio, ed era mercoledì 15, Carlo Nordio aveva detto: “L’espiazione delle pene non dovrebbe essere affidata alle sbarre e ai catenacci ma a misure alternative che già esistono e a cui stiamo lavorando”. Detto fatto. Due giorni dopo ecco proprio il carcere - perché pure i quattro Icam (Istituti per la custodia attenuata delle detenute madri) esistenti in Italia lo sono - anche per le mamme incinte che delinquono, e per i loro figli, anche se hanno meno di un anno di età.

Chi conosce le carceri e sa di Costituzione si arrabbia. “La proposta del governo ci fa fare ora un salto indietro di almeno un secolo: perfino il codice Rocco del 1930, firmato da Mussolini, prevedeva il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne incinte e le neo-mamme” dice il giurista Gian Luigi Gatta che ha lavorato con Marta Cartabia. Che ricorda come “la nostra Carta all’articolo 31 protegge la maternità e l’infanzia tant’è che lo ha riconosciuto anche la Consulta parlando di assoluta incompatibilità con il carcere per la donna incinta o che abbia partorito da meno di un anno”. La dem Anna Rossomando è netta: “Hanno trasformato il “mai più bimbi in carcere” in “carcere anche per donne incinte”. Ma il ministro Nordio dov’è? Gli impegni sul carcere che fine hanno fatto?”.

Dal governo rispondono che mamme e figli non andranno affatto in cella, ma negli Icam in cui oggi vivono 15 mamme con 16 bambini. Ne esistono quattro, a Torino, Milano, Venezia e a Lauro, poco lontano da Avellino. Quello di Senorbì in Sardegna non ha mai aperto. Ma sono strutture simili alle carceri? Sentiamo cosa dice chi le ha visitate più volte, come Mauro Palma, il Garante dei detenuti che sta per lasciare il suo incarico. “Sono pur sempre strutture detentive, anche se con elementi meno impattanti: il personale non è in divisa, non ci sono porte blindate come nelle celle di un carcere, c’è la possibilità di portare i bimbi negli asili nido esterni o alla scuola materna. Certo meglio stare lì piuttosto che nelle sezioni “nido” delle carceri che ospitano 5 donne con altrettanti figli con meno di 10 anni”.

E guardiamo uno di questi Icam affidandoci a colei che ne è stata la direttrice, Concetta Felaco, che sulle madri detenute con i figli ha scritto la tesi di laurea seguita da Stefano Anastasia, il Garante dei detenuti del Lazio, ma nella sua veste di docente di criminologia all’università Unitelma Sapienza. “L’Icam è un compromesso tra la necessità di tenere in carcere le madri che devono scontare la pena e l’esigenza di formazione e di crescita dei bambini. Una mediazione tra la certezza della pena e l’interesse del minore”.

Viaggiamo allora attraverso l’Icam di Lauro, a 50 km dal carcere di Bellizzi Irpino. Abbastanza inserito nel tessuto del paese, non c’è un effetto Rebibbia, i bambini riescono a vedere le mura esterne. Ecco il cancello, una porta che ci fa entrare su due corridoi, uno arancione e uno azzurro, su cui si aprono 20 mini appartamenti di due stanze l’uno. Bilocale con vano cucina, il tavolo con le sedie, poi la stanza da letto e un lettino o la culla. C’è una cucina dove le detenute preparano i pasti per tutti. Gli agenti della penitenziaria indossano gli abiti civili. Fuori un’area verde, altalena, scivolo, la panca di legno, e spazi per giocare, I bambini frequentano la scuola esterna, ma come dice Palma, “c’è il facile rischio che siano identificati, in un posto così piccolo, come i figli delle detenute”.

E gli altri tre Icam? Milano è stato l’apripista grazie all’allora provveditore ed ex direttore di san Vittore Luigi Pagano. Un appartamento distante dal carcere con un arredamento che non somiglia a una prigione. “Funziona bene” dice Palma. Il secondo è nato a Venezia, in una sezioncina vicina al carcere della Giudecca, separato dalla sezione femminile solo da un giardinetto. Col tempo è stato costruito, per comodità del personale, un corridoio che lo collega al carcere e quindi è una sorta di sezione staccata. “È quello che meno dà l’idea di essere ‘altro’ rispetto al carcere” dice Palma. Il terzo Icam sta a Torino, stavolta in una costruzione proprio attaccata al carcere. “Buone le soluzioni per l’arredo dell’architetto Cesare Burdese, ma l’impatto complessivo è asfittico” chiosa Palma.

Da Rita Bernardini di Nessuno tocchi Caino arriva un ricordo drammatico: “Chi si ricorda di Amra, la ragazza rom di 24 anni che il 31 agosto di due anni fa partorì sua figlia in una cella dell’infermeria di Rebibbia femminile? È stata la compagna a pulirle il viso dalla placenta a mani nude, consentendo alla piccola di piangere e respirare”. Già, accade questo se diventi madre in galera.