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di Sergio Rizzo

L’Espresso, 3 agosto 2023

Gli arbitrati erano stati aboliti. Dal 2020 sono tornati con un altro nome, ma sempre molto remunerativi per i magistrati di Tar e Consiglio di Stato. Gli unici per cui l’incompatibilità tra funzione pubblica e privata non vale. E in caso di conflitto d’interessi, decidono le parti.

Dopo settimane di travaglio, riunioni infinite, bozze ed emendamenti, ecco trovata la soluzione. Saranno le parti in lite a decretare l’eventuale incompatibilità del giudice. E ora a Palazzo Spada tutti (o quasi) potranno tornare a sognare il mondo dorato che sembrava perduto. Per mesi il dubbio aveva tormentato il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, che sarebbe poi il Csm dei magistrati dei Tar e del Consiglio di Stato. Il dubbio, ora fugato, era quello di non poter garantire a tutte le toghe pari opportunità per ottenere gli incarichi profumati previsti dalla legge sugli appalti. Così profumati da superare talvolta di slancio lo stesso stipendio di magistrato amministrativo.

Il problema? Sempre quello che aleggia da anni su consiglieri di Stato e giudici dei Tar: l’incompatibilità fra funzione pubblica e incarichi privati. Perché ai magistrati amministrativi, come a quelli contabili, per ragioni difficilmente comprensibili è consentito ciò che a tutti i loro colleghi ordinari è severamente precluso. Dall’insegnamento agli incarichi nella giustizia sportiva, fino agli arbitrati. E questo è il punto.

Una volta si chiamavano proprio così: arbitrati. Era un sistema per aggirare, sulla carta, le lungaggini della giustizia ordinaria in materia di appalti. Quando l’impresa e il committente pubblico litigavano, non si andava in tribunale ma davanti a un collegio arbitrale presieduto di solito, per designazione comune delle due parti, da un consigliere di Stato o da un giudice del Tar. Il lavoro, ovviamente, non era gratis, ma gli arbitri incassavano laute prebende. Quasi sempre dai contribuenti, perché pur essendo un funzionario pubblico l’arbitro supremo, lo Stato soccombeva nel 95 per cento delle cause di questo tipo. Nelle tasche dei magistrati finivano milioni e la cosa aveva preso una piega tanto scandalosa che nella seconda metà degli anni Duemila la pratica venne mandata in pensione grazie a un sussulto di etica collettiva.

Ma troppi interessi erano stati mortificati. È bastato così aspettare che quel sussulto si affievolisse e gli arbitrati sono risorti dalle ceneri sotto diversa forma. Adesso si chiamano Collegi Consultivi Tecnici. In sigla, Cct: come i buoni del Tesoro di un tempo. E in effetti un poco gli assomigliano. Li inventa il secondo governo di Giuseppe Conte durante la pandemia, con la scusa che bisogna velocizzare gli appalti pubblici frenati anche dalle troppe liti fra imprese e stazioni appaltanti. Il Collegio Consultivo Tecnico agisce preventivamente: ha il compito di mettere tutti d’accordo prima che la lite scoppi. Una specie di arbitrato, però con qualche differenza non trascurabile.

Intanto il Collegio non è facoltativo, ma obbligatorio per ogni appalto sopra la soglia europea dei 5 milioni. Poi non si occupa come un collegio arbitrale di una specifica controversia, ma dura quanto l’appalto. Anni. E ogni anno si paga. I tariffari sono complicatissimi, ma c’è chi si è preso la briga di fare qualche stima. Per un lavoro da 50 milioni si può arrivare anche a 750 mila euro, mentre un appalto di importo dieci volte maggiore garantirebbe al Cct un introito prossimo ai 2 milioni e mezzo. E siccome il presidente ha diritto a un compenso maggiorato del 10 per cento e il presidente è per regola il magistrato amministrativo, a lui spetterebbe una somma non lontana da un milioncino di euro. Oltre allo stipendio, naturalmente. Scusate se è poco.

Qui passano in secondo piano alcuni ovvi principi, come quello che il funzionario pubblico non dovrebbe avere compensi da imprese private. Tanto più se fa il giudice. Ma non basta. Perché seguendo il percorso di questa curiosa invenzione che farà spendere un sacco di soldi alle imprese e ai contribuenti arricchendo privatamente giudici già pagati dal pubblico per giudicare, è impossibile non individuare un oggettivo conflitto d’interessi.

A capo dell’ufficio legislativo di Conte che nel 2020 partorisce la norma che consegnerà ai magistrati amministrativi la guida dei Cct c’è un magistrato amministrativo: Ermanno de Francisco, consigliere di Stato. La legge dice che i Cct sono per una fase d’emergenza e quindi dovrebbero durare solo fino all’anno seguente. Ma piacciono così tanto che vengono prorogati. E intanto la stesura del regolamento viene affidata sempre al Consiglio di Stato, nelle capaci mani di Carlo Deodato: attuale segretario generale della presidenza del Consiglio. Il gradimento dei Cct, tuttavia, sale ancora. E sale al punto che il nuovo codice degli appalti felicemente vidimato dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini li eleva a obbligo perenne per tutti gli appalti sopra la soglia Ue. Articolo 215. Autore della norma ancora il Consiglio di Stato, sotto la guida del magistrato Luigi Carbone.

Se la cantano e se la suonano. E ben presto cominciano a fioccare gli incarichi. Con la particolarità che chi li assegna è il Consiglio di Presidenza, composto da giudici che a loro volta se li vedranno assegnare. Prima del suo prematuro decesso il presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini se ne becca tre. Subito dopo la sua morte uno di questi, l’appalto per il nuovo tunnel del Colle di Tenda affidato dall’Anas a Edilmaco, viene trasferito come fosse un lascito ereditario al successore Luigi Maruotti. Il quale ha già giudicato “troppo penalizzanti”, pensate un po’, i paletti che nel frattempo erano stati piantati.

La resurrezione degli arbitrati non è andata giù a tutti, nel piccolo Csm di Palazzo Spada. Qualche membro laico ha storto il naso, e ci sono anche magistrati apertamente contrari, come Silvana Bini e l’ex segretario generale Oberdan Forlenza. Ma sono voci isolate.

C’è però, sull’altro versante, un problema ben più grosso. Per tacitare polemiche peggiori, si è deciso infatti di escludere dai Cct chi ha giudicato controversie riguardanti almeno una delle parti in causa. Molto al di sotto del minimo sindacale, anche se in questo modo sarebbero tagliati fuori molti dei magistrati delle sezioni competenti per gli appalti. E si poteva “penalizzarli”, il termine è di Maruotti, per quel semplice fatto? Sarebbe un’ingiustizia. Si incarica quindi una commissione interna di trovare la via d’uscita.

E il 5 luglio la cosa è fatta. Ogni volta che sorgerà un dubbio d’incompatibilità la segreteria del Consiglio di Stato manderà una lettera all’impresa e alla stazione appaltante con l’elenco delle cause che il magistrato ha giudicato nei due anni precedenti e i relativi esiti. Se entro un mese nessuno solleverà obiezioni l’incarico di presidente del Cct si intenderà approvato. L’uovo di Colombo, per lorsignori; una mostruosità giuridica, per la logica, il diritto e il conflitto d’interessi. Immaginate uno dei due a ricusare un magistrato che magari loro stessi hanno scelto?

Ps: il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex magistrato che viene considerato tutto d’un pezzo, non ha proprio niente da dire su tutto ciò?