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bergamonews.it, 26 dicembre 2022

Nel libro di Zef Karaci l’incontro con don Roberto Malgesini: “Per tutti ero un rifiuto della società. Lui mi ha dato valore e aiutato a ricominciare”.

Paragona l’esperienza del carcere all’inferno dantesco. A una “selva oscura”. Nella quale, però, non si ritrova nel mezzo del cammin della vita, ma a soli 22 anni, quando viene prima arrestato e poi condannato a Bergamo per omicidio. Zef Karaci, oggi, di anni ne ha 39 e in un libro - intitolato “Vai e prendi loro per mano” - racconta l’incontro che gli ha cambiato la vita: quello con don Roberto Malgesini, il prete ucciso il 15 settembre 2020 da uno dei senza dimora che aveva accolto.

I due si conoscono a Como, dove Karaci viene trasferito dopo una rissa in carcere a Bergamo. “La chiamavano la ‘prigione spazzatura’, perché è lì che mandavano quelli come me, quelli che creavano problemi”. Ma rovistando nella ‘spazzatura’, don Roberto non trova rifiuti. “Mi disse: Zef, tu non puoi essere uno scarto della società perché hai tanto da darmi. Capii di avere ancora un valore, perché c’era qualcuno che mi voleva bene e che mi dedicava del tempo”. Ed è così che comincia la sua lenta resurrezione.

Nel libro, Karaci dedica un capitolo anche al delicato e attuale tema dei suicidi in carcere. A quando “se ne impiccavano anche due a settimana”, perché la solitudine, a volte, è la condanna più difficile da scontare. “Sono dentro da 17 anni - spiega l’autore -, ma è come se avessi fatti due anni di ‘vero’ carcere. Da quell’incontro in poi, da quando qualcuno mi ha abbracciato e perdonato, per me è stato come andare in ufficio. Le sbarre c’erano ancora, ma mi sentivo libero”.

Don Roberto - si intuisce dalle pagine del libro - ha ridato un senso alla quotidianità di Karaci, che pensava al carcere come a un “non-luogo”: dove rimpiangere il passato e desiderare ancora un futuro, senza però trovare una ragione per vivere quel presente sospeso, senza spiragli di luce ai quali aggrapparsi.

Il prossimo 14 marzo Karaci avrà scontato definitivamente la pena. Alla sua storia ha dedicato delle belle parole il pubblico ministero Giancarlo Mancusi, in forza alla procura di Bergamo. Inizialmente, quel nome stampato sulla copertina del libro lo aveva fatto “saltare sulla sedia”. Perché, come si dice, era un nome “ben noto all’ufficio” a causa di un regolamenti di conti per il controllo della prostituzione.

“Brutta storia - ricorda Mancusi. Non follia, né passione, né impeto. Solo una macchina del crimine fredda e ben organizzata, un’impresa del sangue di successo. Così la corte condannò Karaci. E il carcere inghiottì i brandelli della sua vita bruciata a vent’anni. Difficile immaginare che potesse rinascere. Invece l’incontro con Don Malgesini lo ha trasfigurato. E ora ne scrive, con infinita gratitudine”.

Il magistrato chiude con una riflessione: “Mi viene da pensare che Dio esiste sul serio, se è riuscito a trasformare Zef Karaci. E che esiste l’Uomo: gli uomini, le donne che si sono assunti la fatica e il rischio di questa scommessa, calandosi nell’oscurità del carcere, ostinandosi a vedere un uomo dove avremmo visto solo un (con)dannato. Non li conosco, ma li ringrazio - conclude Mancusi -. Mi aiutano a credere nel mio lavoro. Nella Costituzione. Nell’umanità. E nei miracoli”.