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di Gennaro Grimolizzi

Il Dubbio, 30 dicembre 2023

Il professor Oliviero Mazza commenta la sentenza della Corte Costituzionale sulle intercettazioni all’ex senatore Esposito. La sentenza n. 227 del 2023 della Corte Costituzionale, depositata giovedì, ha chiarito ulteriormente il tema delle intercettazioni a carico di un parlamentare. Nel caso specifico, è stato dichiarato che non spettava alle autorità giudiziarie, che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio l’ex senatore Stefano Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica. La Consulta, come evidenzia il professor Oliviero Mazza, ordinario di diritto processuale penale nell’Università di Milano-Bicocca, ha offerto spunti di riflessione anche per interventi futuri da parte del legislatore.

Professor Mazza, la recente sentenza della Corte Costituzionale, riguardante alcune intercettazioni che hanno interessato l’ex senatore Esposito, fa ulteriormente chiarezza. Ci deve essere un carattere mirato dell’indagine. Uno snodo fondamentale quello rilevato della Corte Costituzionale?

Certamente, perché dalla natura dell’indagine dipende l’applicazione della garanzia stabilita dall’articolo 68 della Costituzione, cioè l’autorizzazione preventiva o successiva all’esecuzione delle intercettazioni. È lo spartiacque. Ogni qual volta il parlamentare sia già oggetto di indagine, l’attivazione dello strumento intercettivo, anche su utenze di terzi, deve passare attraverso l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza, a pena di inutilizzabilità. La ragione per cui le procure tendono a evitare il più possibile di percorrere questa strada è intuitiva e risiede nel venir meno dell’effetto sorpresa dell’intercettazione. La richiesta di autorizzazione inevitabilmente finisce per avvertire il soggetto interessato dell’attività di indagine in corso.

L’intervento dei giudici della Consulta mette un argine per alcune procure che potrebbero avere la tentazione di intercettare un terzo, interlocutore del parlamentare, con l’obiettivo di indagare sul parlamentare?

Io rimango molto perplesso in merito alla distinzione tra intercettazione occasionale e intercettazione mirata al parlamentare. Si tratta di un discrimine troppo sottile, facilmente aggirabile, mentre invece, dal mio punto di vista, sarebbe preferibile dichiarare comunque la inutilizzabilità delle intercettazioni occasionali. Anzi, nella logica del divieto di intercettare i parlamentari senza previa autorizzazione, le intercettazioni occasionali dovrebbero essere escluse in radice, bisognerebbe imporre agli operanti di cessare immediatamente l’ascolto non appena abbiano contezza dello status dell’interlocutore. La Corte Costituzionale, al contrario, ritiene di poter distinguere in modo netto tra l’intercettazione occasionale e quella mirata. Se l’intercettazione è mirata, deve giocoforza passare attraverso l’autorizzazione preventiva, a pena di inutilizzabilità del risultato conoscitivo, quella occasionale, invece, può ricevere l’autorizzazione postuma e comunque consente l’ascolto e, quindi, l’acquisizione di informazioni utili nella prosecuzione delle indagini. Il problema che la Corte non ha affrontato, ma prima o poi dovrà provvedere, riguarda il fatto che anche nel caso della intercettazione occasionale c’è un vulnus alla prerogativa parlamentare. L’occasionalità, come detto, è una linea di demarcazione molto sottile e si presta ad aggiramenti. Sarebbe più aderente allo spirito dell’articolo 68 della Costituzione ritenere che sia inutilizzabile l’intercettazione occasionale, superando l’eventuale autorizzazione postuma e lasciando come unica possibilità quella di acquisire, se del caso, la notitia criminis, quindi l’eventuale notizia di reato per cui poi si dovrà aprire un procedimento autonomo a carico del parlamentare. Mi faccia aggiungere un’altra riflessione.

Dica pure...

L’intercettazione mirata deve essere autorizzata dal Parlamento e il pm difficilmente procederà a una intercettazione che richieda la previa autorizzazione della Camera di appartenenza. Ci sarà sempre il tentativo di occultare la vera natura dell’indagine, di occultare il coinvolgimento del parlamentare quale obiettivo investigativo e di sperare che ex post l’intercettazione venga ritenuta occasionale e quindi sanabile dal Parlamento. Secondo me, bisognerebbe togliere anche l’utilità della intercettazione occasionale e a questo punto superare ogni distinguo formale, rendendo inutilizzabili tutte le intercettazioni a carico del parlamentare, a meno che non ci sia l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza. Il tutto accompagnato da un preciso obbligo, magari sanzionato penalmente, di cessare gli ascolti non appena si palesi lo status del parlamentare.

I giudici della Consulta hanno ribadito, come per il caso del senatore Matteo Renzi, che i messaggi, compresi quelli scambiati su Whatsapp, non sono semplici documenti ma una vera e propria corrispondenza. Si tratta di un ulteriore rafforzamento delle garanzie dei parlamentari?

Indubbiamente è un rafforzamento, in quanto si esce da quella ambiguità voluta da parte degli investigatori in ordine al concetto di prova documentale. Per la Corte Costituzionale i messaggi sono forme di corrispondenza che personalmente andrei ad assimilare alle comunicazioni. Ancora una volta il Giudice delle leggi aggiunge una tutela, per cui l’acquisizione dei messaggi deve essere autorizzata dal Parlamento in quanto corrispondenza, autorizzazione ovviamente postuma, trattandosi di corrispondenza già inoltrata e ricevuta, ma non va alla radice del problema. La vera questione è che la corrispondenza viene acquisita con lo strumento del sequestro probatorio, nella autonoma disponibilità del pm. Se i messaggi che coinvolgono il parlamentare presentano la tutela in più della autorizzazione della Camera di appartenenza, tutta la messaggistica tra i privati cittadini è alla mercè di un semplice atto di indagine del pm. Diverso sarebbe se i messaggi venissero assimilati alle comunicazioni, allora sì che le cose cambierebbero perché rientreremmo nel regime delle intercettazioni. Del resto, per acquisire un semplice tabulato occorre l’autorizzazione del giudice.

La Corte Costituzionale tiene ancora fermo il discrimine giurisprudenziale tra corrispondenza e comunicazione?

Sì. L’intercettazione riguarda solo le comunicazioni in atto, non solo vocali, ma anche informatiche o telematiche, ossia scritte. Se la comunicazione è in atto, l’intercettazione deve essere autorizzata dal giudice e il pm non può procedere in autonomia. Nel caso dei parlamentari ci vorrebbe l’autorizzazione del giudice e della Camera di appartenenza. Tutti noi comunichiamo ormai prevalentemente in forma scritta e asincrona. Il grosso delle comunicazioni è composto da messaggi, anche messaggi in forma orale che vengono trasmessi in modo asincrono, pensiamo ai messaggi vocali. Le forme di comunicazione nella società di oggi sono sempre di più asincrone per cui è molto difficile applicare quel distinguo che la Corte Costituzionale tiene fermo fra le comunicazioni in atto o le comunicazioni già avvenute. Io penso che occorra un ulteriore sforzo interpretativo.

A cosa si riferisce?

La Consulta dovrebbe equiparare la messaggistica non tanto alla corrispondenza, intesa in senso fisico, quanto alla comunicazione di natura infotelematica e quindi riportare tutte le comunicazioni, di ogni genere, anche asincrone, nell’alveo delle intercettazioni. Se così fosse, avremmo una garanzia in più per tutti con l’autorizzazione del giudice e, nel caso del parlamentare, l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Tutta questa materia ci induce a fare i conti con le nuove forme di comunicazione e richiede urgentemente l’intervento del legislatore, essendo, tra l’altro, coperta dalla riserva di legge.