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di Umberto De Giovannangeli

L’Unità, 26 luglio 2023

Il rapporto di EgyptWide segnala che nel periodo 2013-2021 il materiale esportato oltre il Mediterraneo comprende più di 30.120 revolver e pistole automatiche, oltre 3.600 fucili e più di 470 fucili d’assalto, un numero imprecisato di carabine e software militari.

Abbiamo armato uno Stato di polizia. Con quelle armi il “faraone” ha represso nel sangue proteste di piazza. “L’Italia non ha mai interrotto la vendita di armamenti all’Egitto negli ultimi dieci anni, neanche dopo l’omicidio di Giulio Regeni, ma anzi ha venduto all’Egitto armi piccole e leggere per un valore superiore ai 62 milioni di euro”. È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’associazione EgyptWide for Human Rights dal titolo “Made in Italy per reprimere in Egitto”.

Il report, presentato non molto tempo fa alla Camera dei Deputati con Archivio Disarmo, Rete italiana Pace e Disarmo, e Amnesty International, è frutto dell’analisi incrociata di molteplici banche date governative e internazionali relative al commercio di armi piccole e leggere tra Italia ed Egitto nel periodo 2013-2021. Secondo l’organizzazione, il materiale esportato comprende oltre 30.120 revolver e pistole automatiche, più di 3.600 fucili e più di 470 fucili d’assalto, oltre a un numero imprecisato di carabine, mitragliatrici leggere e pesanti, fucili da caccia, munizioni, tecnologia e software per uso militare e componenti di ricambio.

EgyptWide nel report rimarca che “così facendo, l’Italia ha contravvenuto alle disposizioni contenute nella sua stessa legge nazionale, la n. 185/1990, la Posizione comune europea 2008/944/Pesc e l’Arms Trade Treaty, che vietano l’esportazione di materiale militare verso Paesi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani o in cui tale materiale possa essere utilizzato per la repressione interna”. Non solo: il rapporto fa anche luce “sull’uso improprio di armi piccole e leggere di fabbricazione italiana in Egitto, documentando episodi in cui le armi da fuoco prodotte in Italia sono state utilizzate per commettere abusi quali repressione interna, brutalità della polizia nei confronti di manifestanti pacifici e pacifiche e persino esecuzioni extragiudiziali. Tra i modelli d’arma esportati dall’Italia ed utilizzati per commettere violazioni dei diritti umani, spiccano i fucili Beretta 70/90 e ARX160, i fucili Benelli M3T Super 90 e M1 Super 90, e pistole Beretta F92″.

Quelle armi, rimarcano gli esperti sulla base dell’esito dell’analisi di centinaia di materiali audiovisivi, sono state ripetutamente utilizzate da diversi attori statali per compiere inaccettabili violenze e violazioni nel regime “stabile” del Medio Oriente. I nostri Arx 160, per esempio, sono stati protagonisti di esecuzioni extragiudiziali nel Sinai settentrionale, e delle più piccole Benelli SuperNova Tactical e Beretta 92FS l’Egitto si è servito per intimidire e disperdere i civili nel corso di varie operazioni di sicurezza urbana.

I più famosi Beretta 70/90, poi, erano imbracciati dalle forze speciali durante i massacri di Al-Nahda e Rabaa Al-Adawiya che nel 2013, all’indomani del colpo di Stato che aprì la stagione politica più liberticida della storia moderna d’Egitto, lasciarono sul terreno quasi un migliaio di corpi. Il 2021, anno che chiude l’arco cronologico preso in esame dai ricercatori di EgyptWide, ha segnato il record per il valore totale delle licenze per le esportazioni d’armi concesse dall’Italia. Siamo tra i maggiori esportatori al mondo di Salw, secondi solo agli Stati Uniti.

Il nome “armi piccole e leggere” non deve far credere che queste siano meno letali. Sono più facili da nascondere e, di conseguenza, da rintracciare ma il numero di morti di cui sono responsabili non ha nulla da invidiare alle “classiche” armi di distruzione di massa. “Le violazioni dei diritti umani compiute con armi italiane e di importazione, comprese le violazioni documentate in questo rapporto, non erano inevitabili, e nemmeno imprevedibili” avverte Alice Franchini, ricercatrice di EgyptWide. Sentita dall’agenzia Dire, Franchini aggiunge: “La normativa vigente in materia di commerci d’arma contiene disposizioni specifiche proprio per prevenire abusi come questi. La scelta di trasgredire a tali disposizioni è stata e rimane una scelta politica, quella di mettere i profitti dell’industria bellica davanti ai diritti umani e alla sicurezza, con le conseguenze che vediamo”.

“Lo scorso maggio - annota Giorgio Beretta, analista di punta dell’l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) - il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il capo di Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone. Sono stati ricevuti al Cairo dove hanno incontrato il presidente Abdel Fattah al-Sisi e il ministro della Difesa egiziano, Mohamed Zaki, con i quali - riportava l’Agenzia Nova - hanno concordato di proseguire nello sviluppo della cooperazione in ambito militare. Un modo, nemmeno troppo celato - conclude l’analista di OPAL - per dire che l’Italia continuerà ad armare e addestrare le forze armate di al-Sisi”.

Mentre in Italia si polemizza sull’ “ingratitudine” di Patrick Zaki, la stampa mainstream oscura un’altra vergogna del faraone. Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).

Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre 60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati. Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi. Peggio della Tunisia di Kais Saied. Italia-Egitto: un patto di sangue.