di Giovanni Bianconi
Corriere della Sera, 8 febbraio 2023
I pm: si consideri l’evoluzione del fenomeno anarchico. Rispetto al maggio 2022, quando l’anarchico Alfredo Cospito fu sottoposto al “regime differenziato” previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, alcune cose sono cambiate. E dunque ciò che fu stabilito allora dalla ex ministra della Giustizia Marta Cartabia, su richiesta della Procura distrettuale di Torino e della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo all’epoca guidata da Federico Cafiero De Raho (oggi deputato dei Cinque Stelle) può essere rivisto dal nuovo Guardasigilli alla luce di quei mutamenti. Senza trattative né cedimenti da parte dello Stato, bensì all’esito di un “ponderato apprezzamento” sulla reale necessità di quella misura speciale. Così ha scritto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo nell’articolato parere inviato al ministro Carlo Nordio. Rimettendo ogni valutazione alla “Autorità politica”, la Dna raccomanda, per l’appunto, “un ponderato apprezzamento dell’effettivo rilievo preventivo di misure derogatorie dell’ordinario trattamento penitenziario riferite al singolo detenuto”. Linguaggio involuto e parole soppesate una a una, ma dal significato abbastanza chiaro.
Se si sottolinea l’opportunità di riconsiderare l’effettiva necessità del “carcere duro”, vuol dire che la conclusione non è scontata. Né ci si potrà rifugiare dietro il parere della magistratura dal momento che i pubblici ministeri - almeno quelli dell’Antiterrorismo nazionale, d’accordo con la Procura distrettuale di Torino ma non con la Procura generale che invece s’è espressa chiaramente per il mantenimento del “41 bis” - hanno lasciato aperte altre porte.
Ma che cosa è cambiato rispetto allo scorso anno sul “caso Cospito”? Non la “pericolosità sociale” del detenuto, che anzi rimane “indubbia”. Né, secondo la Dna, vale granché la recente sentenza della Corte d’assise di Roma utilizzata dall’avvocato difensore Flavio Rossi Alberini per presentare al Guardasigilli l’istanza di revoca del “41 bis”. C’è stata piuttosto una “evoluzione del fenomeno anarchico-insurrezionalista, su scala nazionale e internazionale”, nella comunicazione ideologica e strategica, che va considerata per stabilire se i messaggi lanciati dal presunto capo siano così rilevanti e decisivi al punto da sigillarlo al “carcere duro”.
La nuova realtà “appare orientata verso una decisa moltiplicazione dei documenti e degli strumenti di elaborazione ideologica e dei canali decisionali delle conseguenti iniziative violente”, scrive la Dna; dunque - par di capire - non è escludendo Cospito da questo circuito con le misure più drastiche che si può pensare di eliminare i pericoli esterni. Proprio alla luce dei “caratteri di complessità ed eterogeneità della comunicazione tra le diverse aree insurrezionaliste, emerse dall’aggiornata analisi della natura e dell’andamento dei fenomeni e delle condotte delittuose”.
La bussola resta il carattere “preventivo”, e non meramente “afflittivo”, del “41 bis”; solo così la misura eccezionale introdotta nel 1992 dopo le stragi di mafia, e poi estesa anche ai militanti delle organizzazioni terroristiche, può essere applicata “in conformità ai precetti del magistero costituzionale”. Dentro questi confini - conclude il parere della Dna - e valutando l’evoluzione del fenomeno anarchico, “l’Autorità politica è chiamata ad operare per ricercare eventuale conferma della giustificazione logico-giuridica del mantenimento di misure preventive speciali nei confronti del detenuto Cospito Alfredo”.
Tenendo presente l’alternativa: “La eventuale idoneità delle misure proprie del regime detentivo riferito al circuito della cosiddetta Alta sicurezza (As2) e delle ulteriori opportune forme di controllo proprie dell’ordinamento penitenziario e dell’attività investigativa”. Con le quali, chiosa il procuratore nazionale Melillo, si deve mirare a “contenere l’indubbia carica di pericolosità sociale” di Cospito. Ma non necessariamente attraverso il “41 bis”. La parola, ora, al ministro.