sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Carlo Bonini

La Repubblica, 26 febbraio 2023

Dopo la sentenza della Cassazione, Alfredo Cospito ha deciso di continuare lo sciopero della fame. E gli anarchici minacciano di colpire duro. Lo Stato potrebbe essere superiore e trovare una soluzione.

In meno di quarantotto ore, il caso di Alfredo Cospito ha compiuto un ennesimo, drammatico, salto di qualità, avvicinandosi pericolosamente a un punto di non ritorno. Per il destino infausto cui l’anarchico detenuto al 41 bis e condannato all’ergastolo ostativo ha ribadito di non volersi sottrarre, perché fermo nella prosecuzione dello sciopero della fame (ieri, il suo avvocato Flavio Rossi Albertini ha parlato di “una speranza di salvargli la vita ormai ridotta al lumicino”). Per un lungo documento con cui un sedicente “Gruppo di Solidarietà Rivoluzionaria - Consegne a domicilio”, inscritto nella galassia della Federazione anarchica informale (Fai), nel rivendicare un ordigno incendiario inesploso nei giorni scorsi negli uffici del Tribunale di Pisa, annuncia una stagione di “necessaria violenza rivoluzionaria”.

La lettura del documento, la truculenza verbale di suoi alcuni passaggi chiave, la definizione degli obiettivi, lasciano addosso la raggelante sensazione prodotta da fantasmi di un altro tempo pronti a irrompere sul proscenio della nostra vita pubblica. “A colpi di esplosivi - si legge - saranno colpite le strutture e mutilati gli uomini del potere. Per ogni morto in mare, in carcere, di lavoro, nei Cpr, non una ma 100 bombe al padronato. Non basteranno mai le vostre telecamere e le vostre guardie a setaccio delle città a impedire di penetrare nei vostri palazzi”. E ancora: “Non saremo frettolosi. Ma, anzi, cauti e lucidi nell’affinare le nostre tecniche per colpire sempre più forte il potere. Arriviamo. Questa non è una minaccia, ma una promessa che abbiamo fatto innanzitutto a noi stessi”.

Nella dinamica del piano inclinato, la sorte di Cospito, la sua morte per fame, non sembra più una variabile da scongiurare da parte di chi dichiara guerra allo Stato, ma un sacrificio umano ormai solo atteso per potersi così abbandonare alla vendetta, colpendo un obiettivo accessibile in quegli indistinti chiamati “Stato” e “padronato”. Per questo quel sacrificio umano deve e può ancora essere evitato. Con un atto che non sia di resa, ma che faccia parlare allo Stato il linguaggio della nostra Costituzione, dei suoi principi democratici. Impedendo dunque che un uomo affidato alla sua custodia possa morirne, quali che siano le sue responsabilità accertate in giudizio.

Non si tratta evidentemente di sconfessare la pronuncia di venerdì scorso della Cassazione sulla legittimità del 41-bis disposto per Cospito, per altro risultante di una dialettica all’interno della magistratura che ha visto autorevoli pareri di segno opposto (dalla Procura generale, al procuratore nazionale antiterrorismo). Si tratta, nell’autonomia che la politica rivendica legittimamente a se stessa, di trovare uno spazio che metta in sicurezza la vita di Cospito, disinnescando la dinamica dell’odio. Che dimostri a chi predica e promette violenza che lo Stato non uccide nelle sue carceri e non concepisce la pena detentiva come una condanna a morte.

Per farlo serve coraggio. Serve un atto di lungimiranza politica che, pur garantendo un regime di sorveglianza adeguato a Cospito (non esiste solo il 41-bis), dismetta la retorica dello scontro. Perché la fermezza democratica, il rispetto delle leggi e delle sentenze, non hanno nulla a che vedere con il florilegio di dichiarazioni che, ancora ieri, in modo irresponsabile, hanno segnato la giornata politica.

Dire, come ha fatto il sottosegretario di Fdi alla giustizia Delmastro, che “c’è chi, come Messina Denaro, sta peggio di Cospito”, o, come ha fatto il deputato di Forza Italia Flavio Tosi, che “lo Stato non cede ai ricatti e non sentirà la mancanza di un delinquente come Cospito”, è un atto di violenza verbale che chiama soltanto altro odio. Di cui nessuno avverte il bisogno. A meno di non ritenere, nella logica del tanto peggio tanto meglio, che il ribollire di rancore e violenza verbale di cui il documento dal “Gruppo di Solidarietà Rivoluzionaria - Consegne a domicilio” è testimone sia una cornice politica auspicabile in cui precipitare il Paese e la sua opinione pubblica. E dove ogni genere di mano può essere tentata dal mettersi al lavoro.