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di Viola Giannoli

La Repubblica, 4 marzo 2023

L’alto commissariato per i diritti umani, in attesa di esprimersi nel merito, ricorda al governo di rispettare gli standard internazionali e gli articoli 7 e 10 del Patto Internazionale in relazione alle condizioni detentive dell’anarchico.

L’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani chiede all’Italia di assicurare il rispetto in carcere della dignità e dell’umanità di Alfredo Cospito, in regime di 41 bis e in sciopero della fame da 134 giorni. La richiesta è arrivata il primo marzo ed è stata notificata alla rappresentanza del governo italiano a Ginevra e al legale difensore Flavio Rossi Albertini, che il 25 febbraio, subito dopo il rigetto del ricorso per Cospito in Cassazione, aveva inoltrato una comunicazione individuale alla Commissione Diritti Umani denunciando le condizioni di detenzione del proprio assistito.

Una replica che richiama genericamente al rispetto dei principi internazionali sulla pena.

Il richiamo dell’Onu - “In attesa della decisione sul merito della petizione individuale presentata per Alfredo Cospito - fanno sapere in un comunicato il legale e il presidente di A buon diritto Luigi Manconi - il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha deciso di applicare una misura provvisoria che consiste nel richiedere all’Italia di assicurare il rispetto degli standard internazionali e degli articoli 7 (divieto di tortura e trattamenti o punizioni disumane o degradanti e divieto di sottoposizione, senza libero consenso, a sperimentazioni mediche o scientifiche) e 10 (umanità di trattamento e rispetto della dignità umana di ogni persona privata della libertà personale) del Patto internazionale sui diritti civili e politici in relazione alle condizioni detentive di Alfredo Cospito”.

Nonostante la richiesta dell’Onu, accusano Manconi e Rossi Albertini, “nessuna iniziativa è stata assunta dal ministro della Giustizia per revocare o quantomeno migliorare la condizione detentiva di Cospito. Rappresenterebbe un grave precedente se la decisione adottata dal Comitato rimanesse lettera morta, se l’Italia emulasse l’indifferenza dimostrata per l’Onu dai regimi autocratici”. “Le misure urgenti - ricordano - vengono adottate dal Comitato quando sussiste il rischio imminente per la tutela dei diritti essenziali della persona e al fine di evitare danni irreparabili al ricorrente nelle more della decisione finale del Comitato. Il danno irreparabile sarebbe ad esempio la morte di Alfredo Cospito durante la detenzione”.

Quel che si legge nella risposta dell’Onu però al momento è solamente un richiamo ai principi internazionali di una detenzione rispettosa. Diversa l’interpretazione di Rossi Albertini e Manconi che nella nota sostengono come sia “chiaro che con questa azione la Commissione sta per la prima volta mettendo in dubbio la legittimità del regime 41 bis rispetto alle convenzioni internazionali. È molto difficile che l’Italia possa dimostrare che una detenzione a vita e in un regime di estremo isolamento stia garantendo il fine essenziale di ravvedimento e riabilitazione sociale”.

La lettera di Cospito dal carcere - Proprio attorno al suo regime detentivo, cioè al 41 bis, ruota la lettera, divenuta pubblica nella versione integrale, che Cospito ha scritto dal carcere di Opera, Milano, a gennaio. E che, in alcuni passaggi, era stata già diffusa dal suo legale. “Oggi sono pronto a morire per far conoscere al mondo cosa è veramente il 41 bis. La mia morte - affermava - porrà un intoppo a questo regime”, convinto che “i 750 che lo subiscono da decenni possano vivere una vita degna di essere vissuta, qualunque cosa abbiano fatto”.

“Porterò avanti la mia linea fino alle estreme conseguenze - annunciava - non per un ricatto ma perché questa non è vita. Se l’obbiettivo dello Stato italiano è quello di farmi dissociare dalle azioni degli anarchici fuori, sappia che io ricatti non ne subisco da buon anarchico. Non mi sono mai associato ad alcuno - rivendicava - e quindi non posso dissociarmi da alcuno, l’affinità è un’altra cosa. Ho sempre rivendicato con orgoglio le mie azioni (anche nei Tribunali, per questo mi trovo qui) - aggiungeva, riferendosi ad esempio alla gambizzazione, nel 2012, dell’allora ad di Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi - e mai criticato quelle degli altri compagni, tanto meno in una situazione come quella in cui mi trovo”.