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di Michele Passione*

Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2023

11 febbraio 1999; a seguito di questione di legittimità costituzionale sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Padova la Corte dichiarò l’illegittimità degli artt. 35 e 69 O.P., “nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale”.

Muovendo dalla premessa che “al riconoscimento della titolarità di diritti non può non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi a un Giudice in un procedimento di natura giurisdizionale”, con la citata sentenza, n. 26/1999 (Presidente Vassalli, Estensore Zagrebelsky), il Giudice delle leggi affermò che “l’azione in giudizio per la difesa dei propri diritti d’altronde è essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi tra quelli inviolabili, riconducibili all’art. 2 della Costituzione e caratterizzanti lo stato democratico di diritto”.

Si trattava, nel caso di specie, del divieto apposto dall’amministrazione penitenziaria a due detenuti alla ricezione di riviste, a cagione del loro carattere, asseritamente osceno; superando l’impostazione data alla questione dal Giudice rimettente, la Corte dichiarò fondata la questione senza porre distinguo tra i diritti in gioco, e dunque senza distinzione “tra diritti aventi e diritti non aventi fondamento costituzionale”.

Malgrado la portata storica della pronuncia, al principio affermato si accompagnò il monito al Legislatore (inevaso per 14 anni) affinché venissero introdotti sistemi di protezione più acconci, poiché “gli strumenti del giudizio di costituzionalità sulle leggi non permettono di introdurre la normativa volta a rimediare a tale difetto di garanzia giurisdizionale”. Era, quello, un periodo storico in cui la Corte ancora utilizzava il tertium comparationis, le rime obbligate, e dunque alla solennità del principio fece seguito un silenzio assordante.

E’ solo nel 2013, con DL 146/2013, che il Legislatore ha introdotto l’art.35 bis O.P. (reclamo giurisdizionale), al contempo modificando l’art. 69, comma 6, O.P., assegnando al Magistrato di sorveglianza, attraverso lo strumento di nuovo conio, il compito di provvedere sui reclami dei detenuti e internati concernenti (lett. b.) “l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti”.

Con la stessa fonte, per venire alle riflessioni che seguono, in ideale continuum con il principio affermato anni prima, venne istituito il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

Com’è noto, a seguito del D.P.R. 21.12.2023 a comporre il nuovo Collegio sono stati nominati il Professor Felice Maurizio D’Ettore, l’Avvocata Irma Conti e il Professor Mario Serio; a tutti loro, con sincero spirito di collaborazione, non si può che augurare buon lavoro, per i mille compiti che li attendono.

Un passo indietro, riprendendo le parole di saluto al Senato del Presidente del GNPL, Professor Mauro Palma, lo scorso 1° dicembre.

Con evocazione del dovere di solidarietà che l’articolo 2 della nostra Carta costituzionale richiama, per dare il proprio, piccolo contributo, a quell’imperativo per la Repubblica di rimuovere gli ostacoli del successivo articolo (la “concreta utopia” di cui parlava Lelio Basso), Mauro (uso qui il nome proprio, perché è di un Amico - da cui ho imparato moltissimo - che parlo) ha posto questione “della responsabilità dei singoli componenti della collettività” al perseguimento di questo compito grande.

Costruire sul difficile”; partendo dalla premessa di una maturata “consapevolezza nell’opinione pubblica e nel quadro istituzionale del Paese dell’esistenza di una Autorità di garanzia che su tali temi fonda la propria raison d’etre, e che considera questi stessi temi al centro della costruzione di una democrazia adulta, togliendoli da quell’area di complementarietà minore o di attenzione specifica e volontaristica a cui molto spesso erano stati relegati” (giacché “i diritti affermati” - così riallacciandosi allo storica pronuncia già richiamata - “senza i sistemi di garanzie a proteggerli, divengono mere enunciazioni”), Mauro ha ricordato come “il primo diritto che l’umanità deve garantire è l’appartenenza a essa”. Fondamentale, “l’assoluta tutela del diritto al riconoscimento della propria dignità e dell’altrettanto assoluta tutela dell’integrità fisica e psichica delle persone private della libertà personale, […] da cui far discendere tutti i diritti”.

Per fare questo, col contributo di tanti, occorrono innanzitutto competenza, rigore, indipendenza.

Nel corso dei suoi primi sette anni di vita e di azione il Garante (il Collegio, l’Ufficio, gli esperti) ha garantito la sua presenza ovunque, in tutti i luoghi nei quali, de iure e de facto, la dignità è messa in pericolo, o gravemente compromessa; lo ha fatto mettendo a disposizione dello Stato e della democrazia la forza di un pensiero mai manicheo, sempre teso a comprendere, offrendo a tutti coloro che venivano interessati dai problemi possibili linee di intervento atte a risolverli.

Del resto è noto; “se non si fa molta attenzione, [anche] la legge se ne va come neve al sole” (B. Brecht).

Come ricorda F. Jullien, “se a fare grande un pittore è il fatto di aver incrociato l’inaudito”, possiamo ritenere che il Garante abbia onorato il suo ruolo, poiché è dai dintorni che si scorge meglio il centro, e per “far sgorgare il sangue vivo dei pensieri profondi […] bisogna rompere la crosta” (C. Ginzburg).

Sotto la crosta, la purulenza, l’infezione, spesso sta nascosta nella normalità apparente, nelle pieghe di uno Stato di cose esistenti che si ha il compito di studiare, conoscere, nominare correttamente, e provare a cambiare. Sta nelle varie forme di incapacitazione, cosificazione, mortificazione, che il Garante nazionale ha denunciato in tutti i modi e in tutti i luoghi, fuori e dentro le aule di giustizia, come (uno per tutti) per la terribile mattanza della “settimana Santa” di Santa Maria Capua Vetere.

E in quei luoghi bisogna stare.

*Avvocato