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di Anna Lisa Antonucci

L’Osservatore Romano, 11 settembre 2022

Ogni suicidio in carcere è una sconfitta per la società, perché quella persona poteva essere recuperata e invece l’abbiamo perduta per sempre, dunque inquieta la crescita del fenomeno che, dall’inizio dell’anno, conta già 59 vittime tra i reclusi, al ritmo di uno ogni quattro giorni.

Ad agosto, poi, le cifre sono praticamente raddoppiate, con 15 in un solo mese, uno ogni due giorni. E si tratta, per la gran parte, di persone giovani. L’analisi sul fenomeno dell’Associazione Antigone, che si batte per i diritti in carcere, parla di un’età media di 37 anni, ma con molte vittime (21) anche nella fascia tra i 3o e i 39 anni.

Sono stati inoltre 16 i casi di suicidio tra i giovani di età compresa tra i 20 e i 29 anni. In più, sul totale delle persone che si sono tolte la vita in carcere (28 gli stranieri), 4 erano donne, un numero alto vista l’esiguità della popolazione detenuta femminile.

A riflettere, con “L’Osservatore Romano”, su una realtà che allarma è il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma. “Il giorno di Ferragosto - racconta - nel carcere di Torino, un agente ha trovato morto, con un sacchetto ben annodato sulla testa, in modo da garantire il soffocamento, un ragazzo di 25 anni, entrato in carcere dalla libertà da meno di due settimane. Il reato riportato nella sua scheda è rapina.

La scheda dice anche che aveva genitori, una casa. Altro non sappiamo della sua vita, ma certamente non possono essere state le condizioni detentive, spesso disattente alla dignità delle persone, ad avere determinato il suo gesto, perché non le aveva ancora sperimentate nei fatti”. E dunque importante, spiega Palma, “sgombrare il campo da una visione che connette le decisioni estreme alla difficoltà materiale della detenzione. Troppo breve è, in molti casi, la permanenza all’interno del carcere per supportare tale visione”.

Così come, secondo Palma, “troppo frequenti sono anche i casi di suicidio tra chi, a breve, sarebbe uscito. Ciò ci fa capire che a volte è l’esterno a far paura quasi e più dell’interno”. A spingere al gesto estremo, dice il Garante, “è determinante la sensazione di essere precipitati in un “altrove” esistenziale, in un mondo separato, totalmente ininfluente o duramente stigmatizzato anche nel linguaggio dei media e talvolta anche delle istituzioni, dove spesso si è giunti dopo vite condotte con difficoltà e lungo il bordo del precipizio”.

Non a caso si parla di una “tendenza all’incarcerazione della povertà” da cui deriva che la densità dei “senza fissa dimora” in carcere è altissima. Non deve stupire dunque che nell’ultimo anno quasi un quarto delle persone che si sono suicidate in carcere era senza fissa dimora. Inoltre, continua ad essere inutilmente frequente il ricorso alla misura detentiva per reati minori. Dunque, per garantire un’effettiva presa in carico delle persone, soprattutto al loro ingresso “occorre - suggerisce il Garante - restringere la platea delle persone in carcere, a partire da un dato chiaro: oggi 1.301 persone sono recluse per scontare una pena inferiore a un anno, mentre altre 2.567 scontano una pensa compresa tra uno e due anni”.

Un altro aspetto che Palma sottolinea, analizzando il problema dei suicidi in cella, è il “tempo vuoto” che le carceri italiane riservano ai detenuti. “La sottrazione del tempo soltanto in funzione del vuoto non è accettabile - dice il Garante - e contribuisce alla percezione del proprio annullamento. Il tempo sottratto deve avere sempre significato e deve essere chiaramente orientato alla finalità che tale sottrazione ha consentito, è questo un diritto inviolabile della persona privata della libertà”.

Infine, deve essere ridotta la distanza con l’esterno, “con l’incremento di contatti con i propri affetti, grazie all’utilizzo delle tecnologie”. “Un aspetto, questo - spiega Palma - che, oltre a favorire il reinserimento futuro in una società in rapida trasformazione tecnologica, può essere un segnale di non essere finiti in un mondo diverso”.

Secondo Palma, non bisogna mai dimenticare “che l’essenza della pena è solo nella privazione della libertà e non in altri fattori, questo il messaggio che può aiutare a superare quell’invivibile angoscia del vuoto”.