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di Andrea Goldstein e Roberto Galbiati

Il Sole 24 Ore, 20 settembre 2022

Con le elezioni ormai imminenti, il tema della sicurezza in Italia torna prepotentemente alla ribalta. Sulla scorta di aneddoti più o meno cruenti, c’è chi ripropone la narrativa di un mitico Paese dove una volta si dormiva con le porte aperte, mentre ora regnerebbero l’insicurezza e la violenza.

Ai politici, delle cui capacità di influenzare l’opinione pubblica si può ormai ragionevolmente dubitare, è venuta a dar man forte l’influencer Chiara Ferragni, che, al contrario, può ormai esprimere la vulgata della maggioranza silenziosa senza timore di essere smentita o contraddetta. Peccato che quella narrativa sia un mito. Di aneddoti se ne possono trovare sempre, ma i dati, freddi e impersonali, raccontano una storia differente.

Quelli più solidi e credibili contano gli omicidi, dato che per altri reati, in particolare contro il patrimonio, la misurazione del fenomeno criminale dipende in larga parte dalla propensione dei cittadini a denunciarli, che è influenzata da molti elementi non osservabili. Secondo i dati dell’Istat, l’Italia è oggi molto più sicura che all’inizio del secolo o negli anni 90: il numero totale di omicidi nel nostro Paese nel 2019 (315) era appena un quarto che nel 1991 (1.197).

Il lettore scettico potrà immediatamente controbattere che, certo (o magari), oggi si è più sicuri di ieri, ma che all’estero, dove i governi non si fanno distrarre da garantismo e wokism, le cose vanno molto meglio. Anche questa è una fake news: negli ultimi anni, il tasso di omicidi (cioè il numero di omicidi registrati ogni 100mila abitanti) si attesta in Italia a 0,5, ovvero un quinto della media Ocse (2,6).

Siamo in linea con quanto accade in Francia e Germania e addirittura due volte più sicuri, per così dire, che la Svezia dove il tasso è circa il doppio che in Italia. Ma la lotta contro le fake news non finisce qui. Magari è vero che la criminalità è calata e che questo miglioramento è avvenuto in Italia come e anche più in fretta che negli altri Paesi industrializzati, ma l’insicurezza che rimane la si deve all’immigrazione fuori controllo.

Gli scienziati sociali saranno forse un po’ pignoli, ma è da molto tempo che si interrogano sulla natura del legame tra immigrazione e criminalità. Impresa non facile perché sono fenomeni che si intrecciano con altri come l’andamento dell’economia e le politiche pubbliche in altri ambiti. Per isolare questi problemi, si usano tecniche econometriche sofisticate e il risultato, riportato da moltissimi studi in ambiti e periodi differenti, è che non esiste nessun effetto rilevante dell’immigrazione sulla criminalità.

Per l’Italia, uno studio su dati a livello provinciale mostrava un effetto minimo per i furti d’appartamento, che comunque rappresentano una parte irrilevante dei reati complessivi, e nullo per gli altri. Ma lo scetticismo giustamente non si arrende mai. Tutto ciò sarà anche vero, ma il problema sono i clandestini, che sono tantissimi, troppi, e iniziano a delinquere quando si imbarcano senza avere il visto per entrare nel Belpaese, raggiunto il quale iniziano a rubare, stuprare e uccidere.

Ci sono insomma ragioni più che sufficienti per espellerli, se possibile tutti. Impresa non facilissima, però, non fosse altro che per il loro numero. Forse è preferibile la regolarizzazione. Utilizzando i dati del cosiddetto “click day”, un altro studio conclude che in media il tasso di criminalità degli immigrati legalizzati si dimezza rispetto a quello, già relativamente basso, degli irregolari. Da questa emissione di dati e risultati empirici su una questione tanto importante, in assoluto e in particolare in campagna elettorale, si evince che poco di utile si produce quando la discussione si basa su aneddoti, immagini scioccanti e storie ripetute ad oltranza.

Che certamente sono semplici da raccontare, suscitano la curiosità della audience e contribuiscono a definire le scelte elettorali. Per comprendere meglio la realtà, invece, è necessario rivolgersi agli esperti ed è una fortunata coincidenza che alcuni dei migliori al mondo siano proprio italiani (scusandoci con altri, ci vengono in mente i nomi di Giovanni Mastrobuoni, Paolo Pinotti, Francesco Drago, Tommaso Frattini e Francesco Fasani). È un peccato, un vero peccato, che i media non diano loro spazio, preferendo dormire placidamente sugli aneddoti diffusi da politici che hanno presenza quasi fissa nei talk show.