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di Andrea Mirenda

Il Riformista, 15 giugno 2023

Per il nuovo codice previsto dall’Ue, i membri dei Consigli di Giustizia non devono abusare della toga per ottenere vantaggi. Si è trattato di un lavoro lungo e delicato, durato anni, sicuramente significativo per il futuro della giustizia italiana.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, su proposta della Nona Commissione, ha recentemente approvato il “testo finale del modello di Codice Etico per i Consigli di Giustizia” (equivalenti al nostro Consiglio Superiore della Magistratura), elaborato dalla relativa rete europea ENCJ (European Network of Councils for Judiciary). Un lavoro impegnativo e delicato, durato alcuni anni, che ha preso le mosse dalla raccomandazione espressa nel Compendio dell’ottobre 2021 e che mira ad unificare, per quanto possibile, le diverse “sensibilità” etiche e deontologiche dei vari sistemi giudiziari dell’Unione.

Significativa l’unanimità che ha sorretto la delibera del CSM, come pure la qualità del dibattito consiliare che l’ha accompagnata. Va subito detto che nonostante si parli del “codice”, questa raccolta nulla a che vedere con i vincoli cogenti propri di un testo normativo. In effetti, per comprenderne meglio portata, è forse meglio immaginarla come uno scrigno prezioso a cui i vari Consigli di Giustizia dei Paesi Membri potranno attingere per elaborare i rispettivi codici etici, con la più ampia facoltà di adattarne le numerose raccomandazioni alle specifiche peculiarità nazionali.

Pur nella sua evidente programmaticità, merita comunque di essere evidenziata l’immediata rilevanza pratica del modello approvato: come si legge, difatti, nella proposta, il Codice Etico costituisce già ora, per ogni singolo consigliere, una libera “base per la consultazione e la riflessione personale sugli obblighi dei componenti dei Consigli di Giustizia, prendendo in considerazione i valori principali che dovrebbero guidare le loro attività”; in altre parole, ad ogni membro di un Consiglio Giudiziario viene offerto un ausilio per il suo “convincimento interiore”, al di là e oltre gli stretti obblighi giuridici già imposti dalla legge.

Il fine che il codice persegue è chiaro e viene puntualmente esplicitato nel testo: “promuovere la fiducia dell’opinione pubblica nella magistratura, aumentandone l’autorevolezza”. Molte e pregnanti sono, allora, le raccomandazioni che possiamo trovarvi; tra esse, alcune appaiono degne di particolare attenzione per l’evidente attinenza - a contrariis - con le tristi vicende consiliari legate al c.d. scandalo dell’Hotel Champagne. Come, difatti, bene ricorderanno i lettori, nel 2019 venne a galla quanto, purtroppo, già da tempo ben noto a magistrati, politici e stampa: il controllo militare esercitato dalle c.d. correnti, senza distinzioni, sulla vita consiliare, specie in riferimento all’illegale “pilotaggio” delle nomine dei dirigenti secondo logiche platealmente spartitorie, non di rado oggetto della scure demolitoria del Giudice Amministrativo (qui vero Giudice a Berlino…).

Un fenomeno, questo, la cui diffusione capillare e la cui gravità fu tale da costringere un solitamente prudentissimo Capo dello Stato a parlare di “modestia etica”. Chiara, quindi, l’assoluta e conseguente necessità per il Governo Autonomo della Magistratura di recuperare, sin da oggi, quell’alto profilo etico che ci si attende da un organo di rilevanza costituzionale. Un compito che - almeno sulla carta - appare a chi scrive tutt’altro che agevole ove si pensi all’ancor oggi persistente e solidissima presenza delle correnti in Consiglio, grazie ad una legge elettorale che non ne ha minimamente scalfitto il potere di condizionamento territoriale.

Nondimeno, pur consapevoli della complessiva criticità del quadro istituzionale di riferimento, vale soffermarsi su taluni dei principi etici, morali e deontologici giustamente esaltati nel Codice Etico ENCJ che, laddove dovessero trovare precisa eco nell’omologo codice in fieri del CSM, gioverebbero non poco alla ricostruzione di quel prestigio oggi pesantemente illanguidito sia presso i magistrati che presso l’opinione pubblica e tutta la società civile.

Il pensiero corre, così, alle raccomandazioni secondo cui i componenti dei Consigli di Giustizia non devono utilizzare la propria posizione per procurarsi vantaggi personali durante o dopo il proprio mandato né devono intercedere o consentire alcuna ingerenza a favore di qualunque individuo; essi, difatti, devono rimanere indipendenti da qualsiasi influenza interna o esterna e devono sempre evitare di ricevere indicazioni da qualsivoglia individuo, istituzione, organo o ente.

Ed ancora, i consiglieri devono comportarsi come una comunità di lavoro, rimanendo indipendenti gli uni dagli altri nonché da ogni possibile gruppo di pressione interno ed esterno alla magistratura, sforzandosi di evitare divisioni in gruppi (maggioranze contro minoranze) con visioni e opinioni diverse all’interno del Consiglio. Infine, essi devono agire “con trasparenza verso l’opinione pubblica, rendendosi disponibili a motivare le decisioni prese”.

Non è chi non veda come queste raccomandazioni, di per sé idonee - come detto - ad informare immediatamente la coscienza di ciascun consigliere, se tradotte in un corrispondente “agire” concreto sarebbero in grado di correggere, se non addirittura eliminare in radice, le note distorsioni del correntismo che - da carsico sistema di potere, parallelo a quello istituzionale - tornerebbe al fisiologico ed essenziale ruolo di motore di idealità, prezioso per la crescita trasparente e democratica del pensiero giuridico.

Come anticipato, la qualità del dibattito consiliare e l’unanimità della delibera lasciano ben sperare. Significativa, del resto, è stata l’apertura di credito del Presidente della Sesta Commissione che, nel suo intervento, ha lodevolmente sottolineato come il modello europeo ENCJ, accanto al già vigente codice etico dell’Associazione Nazionale Magistrati, dovrà costituire uno dei pilastri su cui erigere il codice etico in corso di elaborazione. Se, dunque, son rose fioriranno… diversamente il Governo Autonomo della Magistratura avrà perso l’ultimo treno per la salvezza. Val la pena di crederci, allora, nell’interesse del Paese.