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di Giovanni Bianconi

Corriere della Sera, 9 gennaio 2023

Camere chiamate al voto sui membri laici 17 gennaio. Dopo due rinvii, martedì 17 gennaio il Parlamento in seduta comune è chiamato ad eleggere i componenti laici del nuovo Consiglio superiore della magistratura. Per la maggioranza è l’occasione di praticare un po’ di spoils system anche nel governo autonomo delle toghe, integrando con qualche nome di propria fiducia il plenum - di cui giudici e pubblici ministeri hanno già scelto i loro rappresentanti - che sostituirà quello “scaduto” a settembre ma ancora in carica.

Per rinnovare il Csm più terremotato della storia (sei consiglieri dimissionari più un membro di diritto dimessosi in anticipo dall’ordine giudiziario a seguito dello “scandalo Palamara”) la politica ha già mancato due appuntamenti: a settembre, a causa delle elezioni anticipate, e a dicembre; ufficialmente per via della legge di Bilancio, in realtà perché mancava l’accordo tra i partiti sui dieci avvocati o professori di Diritto da spedire a palazzo dei Marescialli con la maggioranza dei tre quinti prevista dalla legge.

Accordo che ancora non c’è, ma un terzo rinvio sarebbe ingiustificabile: resta poco più di una settimana per trovare l’intesa e far convergere i voti di centrodestra e opposizione (almeno una parte) sui prescelti. Tra i quali il Csm finalmente al completo eleggerà il vice-presidente, che dovrà guidarlo in sintonia con il capo dello Stato; carica ricoperta, da due consiliature, da laici indicati dal centrosinistra. Una chance che la maggioranza di governo, magari allargata al Terzo polo targato Renzi e Calenda, non vuole farsi sfuggire.

I nodi da sciogliere, però, sono ancora molti. La novità introdotta dalla legge Cartabia prevede che, in nome della trasparenza, le candidature vengano pubblicate sul portale della Camera, avanzate dagli stessi interessati o da almeno dieci parlamentari di due gruppi diversi. C’è tempo fino alla mattina di sabato 14 gennaio. Se però non si arriverà almeno al 40 per cento di aspiranti donne, quota fissata per “assicurare il rispetto della parità di genere”, per loro ci sarà tempo fino alla mattina del 17. Le votazioni cominceranno nel pomeriggio. L’elenco aggiornato alle 15 del 5 gennaio è giunto a 145 nomi, e quelli femminili sono solo il 24 per cento.

Tra i candidati in lizza ci sono avvocati “di grido” come gli ex-parlamentari di Forza Italia Raffaele della Valle, Gaetano Pecorella e Luigi Vitali (già sottosegretario alla Giustizia), o come Nino Lo Presti, vicino a Fratelli d’Italia. Altre nomination sono attese, e tra queste i due probabili laici di area leghista: i penalisti Francesco Urraro (ex senatore eletto nel 2018 con i Cinque stelle ma transitato nel Carroccio nel 2019) e Fabio Pinelli. Tra i possibili candidati ancora “coperti” anche Giuseppe Valentino, altro ex parlamentare della destra sponsorizzato da FdI, e Pierantonio Zanettin, senatore di Forza Italia e già componente del Csm tra il 2014 e il 2018.

La distribuzione dei posti prevede, nelle intenzioni del centrodestra, che sette spettino alla maggioranza (tre a FdI e due ciascuno a Lega e Forza Italia) e tre all’opposizione (uno ciascuno a Partito democratico, Cinque stelle e Terzo polo).

Il Pd però reclama l’indicazione di due nomi, modificando le proporzioni in sei a quattro, per consistenza dei gruppi e perché in materia di giustizia quello di Renzi e Calenda è parte pressoché organica della maggioranza, quindi andrebbe conteggiato da quella parte; basti pensare alle posizioni su separazione delle carriere tra giudici e pm, intercettazioni e leggi anti-corruzione e altre riforme in cantiere. 

L’ipotetica alleanza fra centrodestra e Terzo polo potrebbe perfino cedere alla tentazione di fare “cappotto” e nominare da sé tutti i dieci laici, potendo raggiungere in autonomia la maggioranza dei tre quinti. Ma lasciare fuori una fetta importante dell’opposizione (la più rilevante e numerosa) sarebbe una forzatura e un segnale di rottura, sia sul piano degli equilibri che su quello politico-istituzionale. Difficile da ipotizzare una simile “dichiarazione di guerra” sul terreno già minato dei rapporti tra politica e magistratura.

E dell’orientamento della magistratura bisognerà tener conto nella scelta che spetta ai partiti, perché la nomina del vicepresidente dipende comunque dai venti componenti togati. Sbarcati a palazzo dei Marescialli con un nuovo sistema elettorale ma tutti espressione (tranne un paio) delle correnti tradizionali. Il voto di almeno parte di essi sarà decisivo, e non è scontato che i sette neo-consiglieri di Magistratura indipendente (il gruppo più “conservatore” e perciò considerato più vicino alla maggioranza di governo) decidano di votare un candidato selezionato dal centrodestra. Dipenderà dal profilo individuato, e in quest’ottica i nomi indicati dall’opposizione (in particolare dal Pd) potrebbero risultare decisivi per un finale a sorpresa. La partita, insomma, è tutta da giocare.