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di Barbara Morra

La Stampa, 17 novembre 2023

Due giorni di full immersion per avvocati, giudici e pubblici ministeri in tribunale, a Cuneo, per l’indicente probatorio sull’inchiesta delle presunte torture nel carcere del Cerialdo. Le udienze di mercoledì e ieri sono servite per ascoltare le versioni dei detenuti che hanno raccontato di essere stati picchiati, vessati e insultati ripetutamente dagli agenti di polizia penitenziaria. In particolare si tratta di quattro persone di origini pakistane presunte vittime di un blitz in cella nella notte tra il 20 e 21 giugno di quest’anno. Mercoledì le audizioni sono durate dalle 10 alle 19 e ieri un po’ meno ma sempre per un tempo considerevole.

La richiesta dell’incidente probatorio al giudice per le indagini preliminari era arrivata dal sostituto procuratore Mario Pesucci che coordina l’indagine svolta dal reparto di vigilanza interno della stessa polizia penitenziaria. Motivo: fissare la prova delle denunce evitando di ritrovarsi in un eventuale processo senza i testimoni “chiave”, tutti immigrati che, una volta usciti dal carcere, potrebbero decidere di tornare nel loro Paese. “Il mio assistito ha confermato quanto già detto agli inquirenti in fase di sommarie informazioni (in sostanza la denuncia ndr), anche rispondendo punto su punto alle domande dei difensori - commenta Giulia Margherita Barone, avvocato che assiste uno dei detenuti trasferito insieme agli ex compagni di cella in un altro carcere -, l’impianto accusatorio regge, ora attendiamo le mosse della Procura”. Anche per il procuratore Onelio Dodero l’incidente probatorio “è andato molto bene” segno che, dalla prospettiva dell’accusa nell’udienza, che si è tenuta a porte chiuse, le presunte vittime hanno confermato quanto già denunciato nei mesi scorsi. I detenuti sentiti sono stati in tutto cinque, quattro pakistani e un indiano. È saltato l’esame per due dei denuncianti perché uno era ammalato e un altro, già fuori dal carcere, irreperibile. In tutto sono 23 gli agenti accusati di torture su detenuti ma in particolare sono sedici quelli indagati per aver condotto il presunto blitz nella cella 417, perlopiù poliziotti fuori servizio, alcuni in abiti civili.

Secondo le accuse la spedizione punitiva dello scorso giugno sarebbe nata dalla voglia di punizione per la protesta che quattro detenuti di origini pakistane avevano messo in atto nel pomeriggio per far sì che il connazionale della cella vicino venisse visitato essendo in preda a forti dolori.

Nella ricostruzione alcuni agenti sarebbero entrati nella cella sferrando calci, pugni oltre che proferire insulti e minacce. La scena si sarebbe poi spostata vicino all’infermeria, gli agenti avrebbero interrotto la visita in corso del medico di turno per dire che i cinque pakistani, compreso quello che stava male già prima, non erano da visitare prima di essere messi in isolamento “perché stanno tutti bene”.

Uno dei pakistani malmenati la mattina del 21 aveva il colloquio con il proprio avvocato che, vedendolo con il volto tumefatto, fece immediata segnalazione. Un rincaro di dose per la Procura che già dall’autunno del 2021 stava tenendo d’occhio i comportamenti di un gruppo di agenti sui 150 in servizio nel penitenziario. All’incidente probatorio hanno partecipato anche gli avvocati difensori degli imputati. “Non è cambiato nulla rispetto a quello che è già emerso dalle indagini - dice uno di questi - anzi alcune posizioni sono addirittura migliorate”. I prossimi passi del procedimento li detterà la Procura che dovrebbe formulare le richieste di rinvio a giudizio scoprendo le carte sugli elementi probatori a sua disposizione.