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di Barbara Simonelli

targatocn.it, 13 ottobre 2023

Il Garante regionale evidenzia come la struttura penitenziaria di Cuneo sia percepita come punitiva e di massima sicurezza. “Però le cose stanno cambiando”. Il reato di tortura? “Opportuno che ci sia, nell’interesse di tutti”. “C’è stato un periodo in cui avevamo parecchie segnalazioni sulla zona delle celle di isolamento del carcere di Cuneo. Sono stanze nel seminterrato, dove i detenuti vengono trasferiti e separati dagli altri in caso di sanzioni o di reazioni e comportamenti spropositati. A seguito di ciò, era maturata la decisione di mettere delle telecamere nei corridoi e nelle aree di accesso al reparto”. A dirlo è Bruno Mellano, Garante regionale dei detenuti dal 2014, ruolo istituito 20 anni fa. Fossanese, una storia di militanza nei Radicali, sul tema delle carceri Mellano è sempre stato in prima linea.

Gli chiediamo del carcere di Cuneo, delle indagini su ventitré agenti della Polizia Penitenziaria. “Come garante, posso entrare nelle carceri senza autorizzazione preventiva e posso avere colloqui personali con i detenuti. In queste circostanze raccolgo segnalazioni e denunce. Tra i miei compiti c’è quello di ascoltare ma anche quello di soppesare. Vengo dal mondo dei Radicali, non mi lascio convincere facilmente e da chiunque”. Una premessa che lascia intendere che in questi episodi al vaglio degli inquirenti c’è, invece, qualcosa che, debitamente soppesato, ha meritato tutta la sua attenzione. “Sono stato ascoltato dal procuratore Dodero”, specifica.

“Alcune segnalazioni vanno valutate. Ci si confronta con le direzioni, con l’amministrazione penitenziaria e, se necessario, si prendono altre strade, come è stato in questo caso. Non succede sempre, ma a volte è necessario segnalare alle Procure, a vantaggio di tutte le parti in causa”. In tutte le carceri piemontesi sono state intercettate situazioni da chiarire. Anche a Cuneo, evidenzia ancora Mellano.

Il 2 giugno del 2022, su “Radio Carcere” si è parlato proprio del carcere di Cuneo. Un ex detenuto, Alessandro, ha fatto espliciti riferimenti alle celle di isolamento e a episodi dai quali ha preso le distanze lo stesso conduttore della trasmissione radiofonica Riccardo Arena, non avendo riscontri sulle pesanti accuse dell’intervistato. Una cosa evidenziata dall’ex detenuto ha trovato conferma anche in Mellano. I carcerati temono, tutti, il Cerialdo. In qualche modo, anche i reparti con i cosiddetti detenuti comuni è “contaminato” dal carcere duro, il 41bis, cui è dedicato un intero padiglione del penitenziario cuneese.

“Cuneo è una realtà particolare, perché è vissuto dalla comunità penitenziaria piemontese come carcere punitivo, di massima sicurezza. Negli anni passati c’era una certa rigidità rispetto alla popolazione detenuta. Da quando sono garante, sono stati introdotti dei percorsi con le scuole, come l’alberghiero o la scuola edile. Abbiamo lavorato e continuiamo a farlo per superare l’idea che se vieni mandato a Cuneo è per essere punito. Va detto che qui sono sempre finiti i detenuti più difficili”.

Un riferimento al padiglione Gesso, quello dove sarebbero avvenuti i fatti al vaglio degli inquirenti. Aperto a metà del 2010, “è una struttura limitante”. Celle da 9 metri quadri dove convivono quattro detenuti. Che passano quasi tutta la giornata rinchiusi e senza fare niente. Ha sopperito ai 12 anni di lavori del padiglione Stura, totalmente ristrutturato: “Ha corridoi ampi, celle luminose per due persone. È stato aperto con l’idea di farci stare i detenuti comuni interessati da percorsi di rieducazione e reinserimento. Ma dobbiamo anche fare in modo che il padiglione Gesso non diventi “cesso”: quegli spazi brutti e cupi vanno rivitalizzati con progetti e iniziative a favore dei detenuti”. Cuneo, secondo Mellano, ha indubbie potenzialità, grazie alla sinergia di tanti soggetti che stanno lavorando per rendere il Cerialdo un luogo non solo di detenzione ma anche di riabilitazione, così come dovrebbe essere un carcere.

Mellano ha fiducia che si stia lavorando nella direzione giusta, pur nella consapevolezza della presenza di zone d’ombra. “È un bene che ci sia un’inchiesta. Questi episodi grigi devono essere capiti e risolti, per restituire credito e autorevolezza alla struttura, alla professionalità degli operatori, all’amministrazione penitenziaria e ai tanti agenti che lavorano con serietà e dedizione”.

Poi un cenno al reato di tortura, introdotto nel nostro ordinamento nel 2017 e adesso messo in discussione. “Da quando è in vigore, il detenuto che dichiara di aver avuto un trattamento violento in genere parla di tortura. Il Piemonte in questo momento è un po’ epicentro. Ci sono procedimenti che interessano Torino, Ivrea, Biella. Ora l’episodio di Cuneo. Siamo in una fase delicata in cui proprio le inchieste e le indagini delle procure da un lato e le decisioni dei giudici dall’altro definiranno la fattispecie di reato. Siamo solo all’inizio. Il reato di tortura è opportuno che ci sia e che sia ben definito, anche per gli operatori penitenziari e le altre forze dell’ordine, che hanno il diritto di intervenire con la forza, quando essa è legittima. È quando non lo è più che diventa abuso di potere o tortura. Non va abolito il reato, va definito attraverso i giudizi di merito. È nell’interesse di tutti, delle vittime, dei possibili autori e della società in generale”.