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di Consiglio direttivo della Camera Penale di Milano

Il Dubbio, 13 settembre 2023

Dopo un’estate segnata da tragiche conferme circa il fallimento delle politiche che pongono il carcere al centro del sistema penale, dobbiamo registrare, con grande preoccupazione, un nuovo intervento che, nei contenuti che lo caratterizzano, nelle forme che lo contraddistinguono e nei presupposti da cui muove, risponde a logiche populiste e securitarie e, quel che è peggio, rischia di trascinare anche il sistema della giustizia minorile, fino ad oggi risparmiato da interventi demagogici e disorganici, verso una deriva panpenalista e carcerocentrica.

Con la scelta della decretazione d’urgenza, che dovrebbe conseguire ad alcuni fatti assurti alle cronache nelle ultime settimane, si pretende d’individuare l’ennesima emergenza, alla quale, dunque, sarebbe lecito rispondere con strumenti d’eccezione, comprimendo il dibattito, impedendo di ragionare sui principi e, non ultimo, trascurando numeri, dati statistici, competenze specialistiche, che dovrebbero rappresentare il punto di partenza per ogni intervento di riforma. Ancora una volta si pretende di delegare alla giustizia penale, che dovrebbe occuparsi dei fatti e non dei “fenomeni”, la soluzione di problemi che, mai come nel caso del “disagio giovanile e della povertà educativa” evocate nel testo del decreto, meritano risposte diverse e meditate.

La nostra critica, però, non è solo di natura culturale rispetto a interventi emergenziali adottati sull’onda dell’emozione, ma ancor prima tecnica. Al netto delle forti perplessità circa la ricorrenza dei requisiti di necessità e urgenza, sempre più spesso invocati per intervenire nel sistema penale e in quello processuale, è il merito del decreto, nella bozza in circolazione illustrata nella conferenza stampa del Governo, che desta preoccupazione. La decisione di ampliare in modo significativo la custodia cautelare e la facoltà di adottare misure pre-cautelari (attraverso l’abbassamento dei parametri edittali di riferimento, l’aggiunta di specifiche ipotesi di reato nonché l’introduzione del pericolo di fuga tra le esigenze che la giustificano), mira a una sostanziale equiparazione degli indagati minorenni (anch’essi assistiti, almeno lo si spera, dalla presunzione d’innocenza e tutelati dal “garantismo”, spesso usato come vessillo da questo Governo) a quelli maggiorenni e rischia di consegnare all’esperienza carceraria un numero crescente di giovani. Ciò in una fase del procedimento in cui ogni forma di detenzione dovrebbe rappresentare, per gli adulti e a maggior ragione per soggetti in fase evolutiva, l’extrema ratio, senza considerare l’interesse preminente del minore, che ha rappresentato da sempre il paradigma cui si ispira la legislazione, anche penale, minorile.

Addirittura, con l’aumento di pena introdotto per l’ipotesi attenuata in tema di cessione di sostanze stupefacenti, si reintroduce la possibilità della misura custodiale inframuraria anche per fatti di limitata offensività, con il rischio di determinare un ulteriore aumento della popolazione carceraria, in un momento di forte allarme per la crescita significativa dei detenuti e per l’incessante dramma dei suicidi.

L’estensione ai minorenni di misure di prevenzione, la cui inosservanza è presidiata da sanzioni penali identiche a quelle previste per i maggiorenni; la previsione dell’ammonimento anche per i minori di 14 anni (purché almeno dodicenni); l’ampliamento, attraverso l’abbassamento del parametro edittale di riferimento (da 5 a 3 anni di reclusione), delle ipotesi che consentono l’accompagnamento del minorenne colto in flagranza presso gli uffici di polizia; sono interventi che, ancora una volta, tendono ad ampliare la risposta penale e quella prevenzionale (quest’ultima caratterizzata, come da tempo denunciamo, da garanzie ridotte rispetto a quelle presenti nel processo penale).

Con l’occasione, poi, secondo una consuetudine che ormai caratterizza tutti gli interventi di riforma, si prevede l’innalzamento dei minimi e massimi edittali per alcune fattispecie in tema di armi e, appunto, droga. Dulcis in fundo, s’istituisce una nuova ipotesi di reato, l’art. 570- ter c. p., che sanziona penalmente chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza giusto motivo, d’impartirgli o di fargli impartire l’istruzione obbligatoria. Non possiamo non essere allarmati.

Lo siamo in particolare per la nostra città, dove l’Ipm Beccaria è tuttora alla ricerca di un equilibrio tra una struttura perennemente in ristrutturazione e la necessità (alla quale vanno incontro più i numerosi volontari che non interventi strutturali) di effettivi progetti educativi e di reinserimento. In questo contesto e in una città dove mancano comunità idonee a costituire una valida alternativa all’espiazione inframuraria, ci pare evidente il pericolo che l’ulteriore incremento dei detenuti minorenni (che inevitabilmente deriverebbe dall’approvazione di questo provvedimento) comporti, quale conseguenza ulteriore, il loro trasferimento in istituti lontani e, dunque, lo sradicamento di ragazzi dal proprio territorio e dai propri affetti.

Il decreto non è ancora stato pubblicato. Ci auguriamo che il Presidente della Repubblica possa condividere almeno in parte le nostre preoccupazioni. Ci auguriamo in ogni caso che anche il Parlamento rifletta prima di stabilizzare norme che introducono una brusca virata rispetto ai principi di un sistema penale minorile moderno, frutto di decenni di elaborazione e di interventi di studiosi, esperti, giudici ed operatori, che anche in tempi recenti hanno censurato scelte di penalizzazione ed automatismi rispetto a tale categoria di autori di reato, non certo irresponsabile ma evidentemente particolarmente vulnerabile, sol che si consideri l’art. 31 Cost.