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di Greta Privitera

Corriere della Sera, 24 novembre 2023

Il modo in cui raccontiamo i femminicidi influisce sull’opinione pubblica ecco perché la scelta delle “parole giuste” è fondamentale. Nel punto 10 del “Manifesto di Venezia” - la Carta per i giornalisti e le giornaliste per il rispetto e la parità di genere nell’informazione - c’è scritto tutto. Ci sono le indicazioni per un uso corretto del linguaggio per scrivere e parlare anche di femminicidi in modo consapevole. Perché la scelta delle “giuste parole” è il primo strumento che abbiamo per cambiare cultura e narrazione.

“Il modo in cui raccontiamo, influisce sull’opinione pubblica. Noi esseri umani siamo degli animali narranti e narrati - dice Vera Gheno, linguista - da sempre capiamo le cose raccontandole. Conoscere i termini corretti è la chiave per la costruzione di una società più giusta e rispettosa”. L’esperta di linguaggi ci aiuta a comprendere le parole - spesso sbagliate - che usiamo quando ragioniamo di femminicidio.

Amore - “Amore tossico”, “troppo amore”. Utilizzare questa parola per descrivere un femminicidio significa inserire il reato tra i possibili risultati di una storia amorosa. Presenta il femminicidio come una forma di “amore deragliato”. Ma bisogna ricordarselo: questo non è amore (come il titolo del libro de La27Ora, pubblicato nel 2013).

Gelosia - Se si parla di gelosia come possibile movente, significa reputare in qualche modo comprensibile essere così tanto gelosi da uccidere una persona. Come se questo sentimento negativo possa giustificare l’uccisione di una donna.

Raptus - Usare questo termine pone l’atto di uccidere fuori dalla normalità. Si sottintende che ci sia una momentanea perdita di lucidità mentale del soggetto, togliendo anche la premeditazione. Rende il delitto meno grave perché si presume che la persona non sia in sé.

Mostro - Mela marcia della società, bestia. Sono tutti termini che creano alterizzazione, in inglese ohering, ossia l’invenzione di un altro diverso da noi. Così facendo non ci si prende le responsabilità dell’esistenza di un sostrato culturale - in questo caso maschilista e patriarcale - che c’è e di cui tutti facciamo parte.

Patriarcato - È la struttura di potere prevalente nella nostra società che garantisce il potere, appunto, alle persone di genere maschile. L’obiettivo è quello di costruire un mondo egualitario in cui nessun genere prevale sull’altro.

Possesso - L’esercizio del controllo, del dominio sull’altro che viene spesso scambiato per amore. Sting canta “Se ami qualcuno lascialo libero”, ed è pura verità. Dire “sei mia”, “sei mio”, non è amore ma aggettivo possessivo e ossessivo. Diverso è dire “mio marito”, la “mia fidanzata”, che spiega uno stato.

Sorellanza - Potrebbe essere un antidoto a queste degenerazione dei rapporti. Confrontarsi, parlare con altre donne può aiutare a riconoscere comportamenti pericolosi. Partire da una solidarietà femminile per costruirne una di tutti.