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di Francesca Spasiano

Il Dubbio, 31 agosto 2023

A finire nel tritacarne stavolta è la ragazza violentata a Palermo. Il Garante privacy: media spregiudicati. Domani la a visita di Meloni al Parco Verde di Caivano, teatro delle violenze su due bimbe. La lezione di don Patriciello: “Un esercito qui? Sì, di maestri”.

Vittima due volte, prima ancora di mettere piede in un tribunale. Anche lì, dentro l’aula, la ragazza che ha denunciato lo stupro di gruppo a Palermo rischia di finire alla sbarra per dimostrare che quella violenza non se l’è procurata. Ma è probabile che la 19enne ripeterà il suo racconto davanti al Gip nell’ambito dell’incidente probatorio, senza testimoniare a processo. Perché questa volta il paradigma dello show giudiziario si è rovesciato, e a finire nel tritacarne mediatico è la vittima stessa. Che dopo il grido di dolore lanciato sui social è stata trasferita in una comunità protetta, lontana da Palermo, dove avrà anche la possibilità di lavorare.

“Sono stanca, mi state portando alla morte. Io stessa, anche senza questi commenti, non ce la faccio più. Non ho voglia di lottare né per me né per gli altri. Non posso aiutare nessuno se sto così”, ha scritto la giovane postando uno dei tanti insulti che le sono arrivati su Instagram. È il segnale di un malessere profondo, che era già arrivato qualche giorno fa, sempre sui social, quando la ragazza aveva rotto il silenzio per mettere a tacere chi l’accusa di inventarsi lo stupro. O peggio, di “meritarlo”. L’onda di solidarietà sembrava averle dato uno “scopo”: mettere insieme le voci di donne che come lei hanno subito abusi. Ma l’onda della gogna alla fine è stata più forte: “Se riesco a farla finita porterò tutti quelli che volevano aiutarmi sempre nel mio cuore”, recita l’ultimo messaggio, quello che ha fatto scattare l’allarme.

Un epilogo che già dice molto dei danni che la sovraesposizione mediatica di un fatto di cronaca può procurare anche sulla vittima, quando si trasforma in un bersaglio. Per il pregiudizio che in questi casi si fa strada, ma anche per la tentazione autoassolutoria di una società che non si rassegna ad accettare l’evidenza: la violenza può colpire chiunque.

L’esperto di turno si sforzerà di ripeterlo per la donna uccisa o stuprata. Ma il salotto adibito sui social o in tv per scavare dentro il male che non riusciamo a spiegare non fa che alimentare la ricerca spasmodica delle responsabilità che dovrebbero essere oggetto di accertamento penale. Non siamo al solito “trucchetto” delle indagini show, che tanto contribuiscono alla condanna preventiva di chi è sotto accusa. Questo caso ci insegna qualcosa di più: il biasimo che normalmente colpisce il presunto colpevole può travolgere anche la vittima, se è il suo comportamento che il tribunale mediatico si incarica di giudicare.

Ecco allora che non resta più un angolo, dentro la rete, dove la ragazza di Palermo possa trovare riparo dalla morbosa curiosità per ciò che le è capitato. Da qualche parte si trova persino il suo nome, come ha denunciato il Garante per la protezione dei dati personali. Che intanto ha avviato un’istruttoria nei confronti dei siti e delle testate online che ne hanno diffuso le generalità, violando le più basilari regole che un giornalista è chiamato a rispettare. “Si sono registrati diversi casi in cui l’informazione è stata da subito caratterizzata da un eccesso di particolari e da una morbosa attenzione sulla vicenda”, ha spiegato l’Autorità, avvisando circa le ricadute penali di tale divulgazione.

È innanzitutto una questione di deontologia, e se ce ne freghiamo alla violenza si aggiunge altra violenza. Come ha ricordato anche la Commissione Pari opportunità del Consiglio nazionale forense, scesa in campo per garantire l’impegno dell’avvocatura contro il fenomeno della vittimizzazione secondaria. In che modo? Investendo soprattutto nella formazione, come da più parti si continua a ripetere. Anche tra le forze politiche, che ora accelerano per garantire una risposta immediata alle violenze di Palermo e Caivano. “Anche qui, vedo due diversi livelli su cui operare. Se lo Stato viene percepito come distante, ci deve essere. Perciò, come primo immediato intervento, bisognerà riaprire la palestra, i centri che fanno un lavoro importante di educazione e socializzazione”, ha assicurato al Sole24Ore Giorgia Meloni, che questa domani mattina è attesa nella città napoletana, con interventi concreti alla mano. La premier lo ha promesso, la sua non sarà una semplice visita. E anche dopo le minacce ricevute via social garantisce che il “governo non farà passi indietro”. Per prima cosa sistemerà il centro sportivo Delphinia, teatro delle presunte, reiterate, violenze sessuali di gruppo ai danni di due bambine di 11 e 12 anni.

Un impegno concreto che ora si aspetta anche don Patriciello, che proprio alla premier aveva rivolto il suo appello. Ma ai luoghi dell’orrore, il Parco Verde di Caivano, non occorrono slogan. Né lo Stato d’assedio invocato dal governatore della Campania Vincenzo De Luca. Serve un “esercito di maestri elementari e assistenti sociali”, dice il parroco antimafia. Il cui monito forse potrà indirizzare anche l’agenda politica, divisa tra la formulazione di una maggiore asprezza della risposta punitiva e l’impegno nel campo della prevenzione.

Non solo castrazione chimica, dunque, come invoca la Lega. Ma anche una “task force” a tutela dei giovani e un controllo preventivo sui contenuti digitali “violenti” per renderli inaccessibili ai minori, come invece propone Fratelli d’Italia in un ddl che sarà pronto a settembre. Quale sarà la priorità della premier? Esclusa la polemica che riguarda il compagno e giornalista Andrea Giambruno, s’intende.