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di Niccolò Zancan

La Stampa, 24 febbraio 2024

E l’Italia spesso non riesce a distinguere fra vittime e carnefici. Gli schiavi sono fra noi. Dormono accanto a noi. Producono per noi. Sono nei campi del Ragusano, chiusi dentro case di campagna, guardati a vista dai cani, al lavoro per coltivare il famoso pomodorino che tutto il mondo ci invidia. Picchiati, presi in ostaggio, privati dei documenti, messi al lavoro nelle serre. Sono in Basilicata, “operazione Women Transfer”. Ottantasette vittime, donne povere della Moldavia, chiamate come collaboratrici domestiche nelle province di Potenza e Matera.

“Ma costrette a lavorare senza riposo, con salari netti molto bassi da cui veniva sottratto il debito nei confronti del gruppo criminale che le aveva reclutate. In alcune famiglie, le donne vivevano in condizioni degradanti”. Sono schiavi del tempo presente. Schiavi come le ragazze liberate nell’operazione della polizia “Bad Mama”, fra Siracusa, Latina e Varese. Erano finite nelle mani di una organizzazione criminale transazionale. Quattro arrestati con queste accuse: tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione, aborto forzato. Per farle interrompere la gravidanza le obbligavano a assumere droghe e alcol. Anche a Torino si è celebrato un processo per questo tipo di reato. Una donna nigeriana ha trovato la forza di denunciare i suoi aguzzini. Perché dove c’è una schiava, ci sono sempre degli schiavisti.

Il quadro che emerge sull’Italia dal rapporto dal Greta del Consiglio d’Europa (Group of Experts on Action against Trafficking in Human Beings) non è solo un resoconto delle indagini degli ultimi anni, cioè su quanto è già emerso. Ma è una specie di ammonimento per il governo, su quanto ancora non si riesce a mettere a fuoco. “In Italia sono state individuate da 2.100 a 3.800 persone all’anno come possibili vittime della tratta”, c’è scritto nella relazione. “Nonostante la maggior parte delle vittime sia composta da donne, il numero di vittime uomini e transgender è aumentato. Lo sfruttamento sessuale resta predominante, ma anche il numero delle vittime sfruttate sul lavoro è in aumento. I settori a alto rischio includono l’agricoltura, il settore tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”. Arrivano con viaggi terrificanti, finiscono sfruttati in Italia. Ma quel numero è solo la punta dell’iceberg.

E infatti. “Secondo la Linea Nazionale Anti-Traffico di esseri umani, si stima che in Italia siano fra 15 e 20 mila le persone a rischio. Pertanto, esiste un divario significativo tra le cifre sopra menzionate e la reale portata del fenomeno della tratta di esseri umani. Questo è dovuto alle difficoltà nell’individuazione e nell’identificazione delle vittime, all’insufficiente attenzione alla tratta per scopi diversi dallo sfruttamento sessuale, nonché al basso tasso di autodenuncia da parte delle vittime stesse, che temono di essere punite o rimpatriate”. Più di cento nazionalità diverse: Nigeria (68,4%), Costa d’Avorio (3,5%), Pakistan (3%), Bangladesh (2,9%), Marocco (2,2%). Sono pochi i cittadini italiani sfruttati sul territorio nazionale secondo i dati emersi: 8 nel 2019 e 3 nel 2021.

Ma l’Italia spesso non riesce a distinguere fra vittime e carnefici, questo dice il rapporto. E cita il caso di una sentenza del 2020 emessa dal Tribunale di Messina. Tre trafficanti nigeriani processati per associazione a delinquere finalizzata alla tratta. Accusati di violenza sessuale, tortura, omicidi, traffico di esseri umani. Gestivano un campo di detenzione illegale a Zawyia in Libia, dove centinaia di migranti sono stati imprigionati, torturati e violentati per ottenere denaro dai loro parenti nella speranza di riuscire a partire per l’Italia. “Il caso è emerso a seguito di un’indagine nel punto di sbarco, grazie alle testimonianze di diversi migranti” c’è scritto nel rapporto. “Ciascun imputato è stato condannato a 20 anni di reclusione. Ma nessuna vittima si è costituita parte civile. Nessuna informazione è stata fornita dalle autorità italiane sulla situazione di quelle persone, possibili vittime, in quel caso specifico”.

Spesso le vittime continuano a esserlo. Spesso non vengono riconosciute. Casi di ragazzi condannati come “scafisti”, ma in realtà costretti a portare la barca come nel film di Matteo Garrone “Io capitano”. Mancano le distinzioni. Mancano interpreti preparati che sappiano ascoltare e spiegare. Vengono meno i diritti. E manca, anche, la calma. L’antidoto per questi tempi odiosi. Ecco cosa c’è scritto nel rapporto di Greta: “Esprimiamo preoccupazione per il fatto che le misure restrittive in materia di immigrazione adottate dall’Italia favoriscono un clima di criminalizzazione dei migranti, con la conseguenza che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i propri casi per paura di essere detenute ed espulse”.