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di Irene Famà

La Stampa, 25 febbraio 2023

Il mancato arruolamento, la prima volta in carcere, i processi e le condanne. Il braccio di ferro tra Alfredo Cospito e la giustizia inizia nel 1991. Ne seguiranno altri. Numerosi. Tra l’anarchico che sfida a muso duro lo Stato, che irride le istituzioni, le provoca. In ogni processo, legge le sue posizioni a voce ferma, cadenzata, sicura. Proclami recitati con lo sguardo fisso e il mento che sporge in avanti. Un testa a testa. “Giudici, mi sarebbe piaciuto essere lì per sputarvi in faccia. Sul vostro codice penale piscio con spensieratezza e allegria”.

La grazia - Alfredo Cospito un riformista? Così verrebbe da pensare ad analizzare il suo primo scontro con la giustizia. Tra lo sciopero della fame, la concessione della grazia. E pure una sentenza che porta il suo nome. Nel 1991 gli arriva la chiamata al servizio militare, proprio lui che anni dopo auspicherà “10, 100, 1000 Nassirya”. Arruolarsi evidentemente è fuori discussione. All’epoca, però, la leva era obbligatoria. Chiamato alle armi, si dichiara “obiettore totale”. Non per motivi fisici o di salute, ma per motivi ideologici. È anarchico, la legge non la rispetta, la disprezza.

Accusato di “mancata chiamata”, viene condannato a un anno di reclusione. Che sconta solo in parte perché spunta un’amnistia. Il 16 aprile 1991 viene condannato di nuovo alla pena di un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione militare per il reato di diserzione aggravata. Dal giorno dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione, 27 agosto 1991, inizia uno sciopero della fame ad oltranza per protestare contro la nuova condanna. Il padre chiede la grazia al Presidente della Repubblica, all’epoca Francesco Cossiga. Il 27 dicembre 1991 il Colle accoglie l’istanza valida per il periodo precedente alla data della condanna per il reato di diserzione, 16 aprile 1991, al giorno in cui è stato tratto in arresto. Il 27 agosto 1991, Cospito viene nuovamente imputato. Questa situazione, in base alla legge di allora, nota come “spirale delle condanne” si sarebbe protratta fino al compimento del 45° anno di età. Il caso finisce di fronte alla Corte Costituzionale e fa giurisprudenza. Nel 1993 i giudici della legge stabiliscono che i disertori non possono essere condannati più di tre volte e comunque a pene che non possono superare complessivamente l’anno di carcere. Da qui la “sentenza Cospito”.

Processi e condanne - Aosta, piazza della Repubblica. La notte del 16 aprile 1993 da quelle parti c’è un raduno rock e un solerte vigile urbano di pattuglia sorprende tre giovani intenti ad attaccare manifesti contro un referendum. Uno è un anarchico della Vallée, l’altro di Cuneo. L’altro ancora è il pescarese Alfredo Cospito, arrivato in Piemonte da pochi mesi. Gli vengono sequestrati sessanta volantini e altri documenti. Poi la denuncia, a Ivrea, per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale: era il 22 dicembre e una manifestazione di solidarietà per l’arresto dell’anarchico Edoardo Massari finisce tra gli scontri con le forze dell’ordine. Alfredo Cospito, con altri 27 giovani, viene denunciato. Nel 1995, nel Tribunale di Ivrea, si apre il processo e lui siede sul banco degli imputati. La sentenza arriva nel ‘98 e rimedia in primo grado una condanna lieve a 10 mesi.

Alfredo Cospito irrompe nella galassia anarchica, la scuote, la divide. Il suo nome compare di nuovo nelle cronache della criminalità politica nel 1996, nell’ambito di un’indagine del pubblico ministero di Roma Marini che per primo apre una maxi-inchiesta per una serie di attentati avvenuti in Italia. Lui e la sua compagna Anna Beniamo escono indenni dal processo.

Teorico della Fai, Federazione anarchica informale, nel 2012 compie il salto di qualità nella lotta armata. E finisce in carcere, a Ferrara, con l’accusa di avere sparato all’amministrato delegato dell’Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi il 7 maggio a Genova. Per cercare di capire il senso del percorso che, dai manifesti, lo ha condotto a pianificare, assieme alla compagna e all’amico Nicola Gai, entrambi della stessa area, il primo attentato dopo gli Anni di Piombo, gli inquirenti vanno a cercare vecchie carte in cui sono elencati lunghe serie di nomi. Anarchici che, allora giovanissimi, hanno scelto altre strade o formazioni politiche diverse. Ma alcuni sono rimasti fedeli agli stessi ideali “nichilisti e egoisti”, secondo una definizione dei marxisti dei Centri Sociali, ed è lì, in quel gruppo di “individualità” anarchiche tra i 40 e i 50 anni, che vanno cercati i complici e i fiancheggiatori del “Nucleo Olga”, la cellula che ha rivendicato l’attentato di Genova.

“Siamo solo io e Nicola, nessun altro ha partecipato al nostro progetto. Non riconosciamo questo ordine democratico. Io sono anarchico e sono nichilista perché agisco e non aspetto una rivoluzione”, rivendica Alfredo Cospito in aula. I pubblici ministeri, nella requisitoria, sintetizzano: “È vero che Cospito e Gai oggi hanno confessato. Ma manca la seconda parte della confessione: loro non si dissociano, ma anzi hanno disprezzo per le autorità e le norme”. Il processo si conclude con una condanna che diventerà definitiva a 10 anni di carcere.

Si vogliono colpire le persone. E lo sintetizza, in uno dei suoi scritti, Pasquale Valitutti, volto simbolo dell’anarchia italiana: “Invece di attaccare i simboli impersonali di giustizia, è importante trasferire le ostilità nell’ambiente personale del nemico, nelle loro case, uffici, ritrovi e veicoli. Il terrore che causano i capi ammazzando i propri lavoratori, gli sbirri che sparano accidentalmente, i giudici che condannano a migliaia di anni di carcere, i giornalisti con le loro menzogne, i politici con le loro leggi e i loro ordini, in tutti questi casi il nemico ha un nome e un indirizzo. Il progetto nemesi è una proposta internazionale di creare una lista con nomi di persone al potere, per poterle attaccare là dove si sentono sicure, ai margini. Nelle loro case”.

Scripta Manent - Nel 2003 compare la sigla Fai, Federazione anarchica informale, e una serie di plichi esplosivi e attentati vengono rivendicati in tutta Italia. La Digos di Torino inizia l’indagine Scripta Manent e il nome è evocativo: gli anarchici della Fai teorizzano, scrivono, pubblicano riviste più o meno clandestine che diventeranno un riferimento ideologico per l’intera area anarchica italiana. In particolare, il periodico Kno3, formula chimica del nitrato di potassio usato per confezionare gli ordigni, in cui il gruppo torinese conquista la guida ideologica del segmento già dedito a pratiche terroristiche. I testi vengono elaborati nell’appartamento di via Donizetti 8 e nello studio di tatuaggi gestito da Anna Beniamino in via Sant’Anselmo 21. La Digos e il Ros inseriscono microspie che registrano il faticoso cammino della rivista: filosofia rivoluzionaria e anche consigli tecnici su come realizzare bombe molotov e altri tipi di ordigni. Gli inquirenti raccolgono conversazioni, telefonate. “Ho studiato filosofia anche io…Non rompere i coglioni” dice Beniamino a chi non la pensa come lei. Teorica, con il compagno Cospito, di questo segmento terrorista con salde radici torinesi e con numerose cellule in Italia e in Europa. Militante attiva, aspira all’azione, è suo il compito di mantenere la linea. Nelle sue invettive non risparmia nessuno, nemmeno Luca Abbà, uno dei simboli del movimento No Tav, l’anarchico salito nel febbraio 2012 su un traliccio per protestare contro l’allargamento del cantiere di Chiomonte, ferito da una scarica elettrica, caduto a terra da diversi metri e miracolosamente sopravvissuto. “Ti parlo che ne so, di un simbolo - dice Beniamino a un suo interlocutore - Il Luca Abbà che cade dal traliccio è diventato un simbolo ed è andato con i Cinque Stelle…era uno di quelli che quando è morto Baleno faceva parte dell’entourage anarchico più oltranzista…”.

Cospito è in carcere per la gambizzazione di Adinolfi. Beniamino, con altri, viene arrestata nel settembre 2016. Il processo, davanti alla corte d’Assise di Torino, si apre un venerdì del 2017, in un’aula bunker presidiata in ogni dove dalle forze dell’ordine. Sul banco degli imputati 23 anarchici accusati di associazione con finalità di terrorismo, tutti ritenuti collegati alla Fai. Accusati, a vario titolo, degli ordigni esplosivi inviati a esponenti delle istituzioni e a giornalisti, delle tre bombe esplose nel 2007 nel quartiere crocetta e dell’ordigno inviato nel 2005 ai vigili urbani di San Salvario. Un processo per alcuni versi storico, frutto di una complessa indagine coordinata dal pubblico ministero Roberto Sparagna e che ha visto coinvolti la sezione antiterrorismo della Digos di Torino e il Ros dei carabinieri.

Ed è proprio Alfredo Cospito, tra i pochi imputati che rilasciano dichiarazioni spontanee in aula, a fare l’intervento più completo e aggressivo. “Voglio essere più chiaro possibile, che le mie parole suonino come un’ammissione di colpevolezza - dice in collegamento video dal carcere di Ferrara - Con orgoglio e fierezza rivendico la mia appartenenza alla Fai Fri. Con orgoglio e fierezza mi riconosco nell’intera sua storia, ne faccio parte a pieno titolo ed il mio contributo porta la firma del nucleo Olga”.

Secondo gli investigatori, l’attentato ad Adinolfi e gli altri episodi di violenza, sono maturati all’interno di una vasta rete eversivo-terroristica che ha riscosso solidarietà e sostegno da più parti, anche attraverso legami internazionali. E Torino emerge come uno dei centri propulsivi dell’anarchia, tra chi riconosce i metodi e gli strumenti della Fai-Fri, propensa alle azioni più che alle parole.

Ed è proprio questo allargamento di responsabilità ambientale che Alfredo Cospito contesta con forza, “accusando” la procura di aver coinvolto persone “non per le azioni rivendicate”, ma semplicemente per “aver fatto parte di un movimento, partecipato ad assemblee”, manifestato il proprio consenso alla “violenza rivoluzionaria”. O per il solo fatto di aver scritto blog, gestito siti internet, o partecipato alla divulgazione di uno di storico giornale clandestino, la “Croce Nera Anarchica”. Cospito parla con toni di sfida: “Giudici, mi sarebbe piaciuto essere lì per sputavi in faccia. Sul vostro codice penale piscio con spensieratezza e allegria”.

Il pubblico ministero Roberto Sparagna, che ha applicato alla galassia anarchica il metodo che la Sezione Antiterrorismo della Digos di Torino aveva utilizzato con successo nel corso di investigazioni su altre organizzazioni eversive, a dibattimento riassume con efficacia il profilo della Fai Fri: “Una struttura che opera e mette bombe. Le cellule della Fai-Fri giocano in Champions League, le altre nelle serie minori”. Il processo è complesso e davanti ai giudici finiscono prove raccolte per oltre quindici anni, innumerevoli intercettazioni, documenti. Il 24 aprile 2019 la sentenza. Vengono assolti in diciotto, condannati coloro che sono accusati di terrorismo. Vent’anni vengono inflitti ad Alfredo Cospito, 17 ad Anna Beniamino, 9 a Nicola Gai. Un dispositivo “storico”: viene acclarata l’esistenza di un “organismo anarchico sovversivo e terroristico”, di una struttura stabile e organizzata con estensione internazionale.

Dopo Scripta Manent, la Fai-Fri rivendica diversi pacchi esplosivi in Italia e all’estero, in Cile, Grecia, Germania. Le chiamate alle armi continuano anche da dietro le sbarre. In prima linea, Alfredo Cospito: “La rivoluzione la può fare solo chi ha il diavolo in corpo”. Frasi che non passano inosservate agli investigatori che seguono l’evoluzione del fenomeno.

Il 24 novembre 2020, una ventina di anarchici incappucciati lancia uova e una bomba carta contro le vetrate del bar e sulle scale d’ingresso della sede dei quotidiani di Stampa e Repubblica. Nell’aula bunker di Torino, alle Vallette, la Corte d’assise d’appello si pronuncia. Tredici condanne, ritoccate appena le pene per alcuni dei reati più gravi. Conferma il valore dell’indagine della procura e rispetto alla Corte d’assise riconsiderano l’importanza degli scritti e dei commenti pubblicati su siti e giornali d’area per rafforzare le strategie eversive. Le idee non sono solo parole, ma possono diventare benzina per l’azione. E nel marketing della propaganda, le parole diventano reato. Nella galassia anarchica come nel terrorismo di matrice islamica. “Le pubblicazioni istigano alla violenza”. E si cerca di dare loro “massima diffusione possibile, anche internazionale”. Le pubblicazioni, allora come ora, accompagnavano “l’esaltazione della violenza e dei loro autori, la giustificazione degli attentati dinamitardi e incendiari”. Nei documenti, sottolineano i giudici, c’è “l’esaltazione di anarchici stragisti del passato, l’affermazione dell’assoluta irrilevanza della vita dei bersagli”.

Le bombe all’ex scuola carabinieri - Alfredo Cospito è in carcere a scontare condanne diventate ormai definitive. Ma a inizio 2023, insieme ad Anna Beniamino, torna sul banco degli imputati davanti alla Corte d’assise d’appello di Torino per gli ordigni posizionati davanti all’ex scuola carabinieri di Fossano, una trappola fallita per mera casualità. La Cassazione ha riqualificato il reato in strage politica, che significa che quelle bombe non furono un semplice attentato, ma un pericolo vitale per lo Stato. E per la strage, c’è un’unica pena prevista: l’ergastolo. I giudici torinesi non sono d’accordo. “È stato un fatto di lieve entità - scrivono - E il trattamento sanzionatorio deve essere adeguato al caso concreto” e puntare alla riabilitazione. La strage, invece, “è sanzionata con la più afflittiva delle pene oggi contemplate dall’ordinamento e prima del decreto del 1944 che l’ha abolita, addirittura con la pena capitale”. Per tutti questi motivi, la Corte solleva una questione di legittimità costituzionale e invia gli atti alla Consulta. Che si pronuncerà. Ma i tempi, in questi casi, sono particolarmente lunghi.

Il 41 bis - Detenuto in regime di massima sicurezza, Alfredo Cospito scrive ai compagni fuori. Scrive a fine maggio 2019 per l’assemblea di Bologna, cercando di invitarli all’azione. “Ogni volta che capito in una sezione “comune” e mi chiedono per quale motivo mi trovo dentro ed io con orgoglio ed ironia rispondo che sono un terrorista mi si aprono tutte le porte, la solidarietà è massima. Cosa temono dagli anarchici? Temono che qualcuno li aspetti sotto casa, che gli anni bui per loro ritornino, che la paura e il terrore cambino di campo”.

Scrive il primo settembre 2021 a quei compagni riuniti in Calabria: “La violenza anarchica è il mio modo di cambiare le cose”. No, non manda pizzini. I suoi appelli alla solidarietà violenta, all’azione, alle molotov e agli attentati sono nero su bianco, condivisi e ricondivisi sul web. Diretti alla galassia anarchica, una realtà frammentata, divisa, in quel tempo silente. “Non voglio edulcorare dal mio vocabolario la parola terrorismo, non sarà certo il codice penale con le sue condanne o la minaccia della spada di Damocle del 41bis sospesa sopra la mia testa a farmi cambiare idea e a farmi tacere”. È proprio per questi scritti che la procura di Torino e il Dap chiedono che Alfredo Cospito venga recluso al regime di carcere duro. E il 4 maggio 2022 l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia firma l’applicazione del 41bis.

Corsi e ricorsi - Alfredo Cospito inizia lo sciopero della fame. Che porta avanti per oltre cento giorni, arrivando a rifiutare anche gli integratori. Perde oltre 40 chili, viene trasferito dal carcere di Bancarli, a Sassari in Sardegna, a quello di Opera a Milano, dove c’è adeguata assistenza sanitaria. E infine in ospedale. L’avvocato Flavio Rossi Albertini, il suo difensore, presenta diversi ricorsi. Il Tribunale di sorveglianza di Roma è irremovibile. La Fai-Fri “è ancora operante”, Cospito continua a comunicare con l’esterno, a indicare obiettivi strategici e “stimolare azioni dirette di attacco alle istituzioni”. La “mera detenzione”, scrivono, non serve a nulla. Nessun pentimento, nessun passo indietro. Al contrario. Alfredo Cospito “vuole uno scontro armi in pugno con il Sistema”, pronto a colpire edifici e persone. Anche dal carcere, sostengono, “è riuscito a porsi come punto di riferimento”.

Fuori molti anarchici, lo detestano, lo criticano. Ma davanti al suo j’accuse allo Stato, alla sua battaglia contro il sistema carcerario, tutti si uniscono. E lui, adesso sì, diventa un simbolo.