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Lettera aperta al ministro della Giustizia Carlo Nordio

Ristretti Orizzonti, 22 settembre 2023

Gentile Ministro Nordio, lei ha recentemente parlato di prevenzione nei confronti dei comportamenti a rischio e dei reati commessi dai ragazzi; noi, detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti a nostra volta, vorremmo raccontarle come, con le nostre testimonianze e con il racconto dei disastri delle nostre vite, cerchiamo di mettere a disposizione dei ragazzi le nostre storie non per dare consigli, non saremmo in grado di farlo, ma per far loro toccare con mano le conseguenze di certe azioni.

Ogni anno incontriamo decine di classi di scuole superiori padovane, e non solo; migliaia di studenti entrano in carcere e ascoltano le nostre testimonianze con le quali cerchiamo di stimolare delle riflessioni - e cioè proprio quelle riflessioni che non siamo riusciti a fare noi - nel tentativo di aiutare a capire cosa ci ha portato a commettere reati, calpestando spesso tutto ciò che ci si parava davanti.

Non è stata la pena “cattiva”, quella che al male risponde con altrettanto male, a farci diventare persone più consapevoli, ma sono piuttosto gli incontri con gli studenti, e il pensiero che di fronte potremmo avere i nostri figli che ci chiedono il perché delle nostre scelte sbagliate.

Sono le domande che ci fanno gli studenti che ci inchiodano alle nostre responsabilità: a volte non abbiamo risposto nemmeno ai giudici, mentre non possiamo e non vogliamo sottrarci alle domande dei ragazzi, ed è da questo confronto che cresciamo e che cerchiamo di diventare adulti credibili.

È vero, nel passato siamo stati la “peggiore gioventù”, e spesso siamo anche diventati dei cattivi maestri, ma oggi le nostre esperienze negative e le nostre vite sbagliate le mettiamo a disposizione dei ragazzi, con la speranza che, semmai si troveranno in situazioni rischiose, si ricordino di come è facile rovinare la vita a sé stessi e agli altri in un attimo.

Ci ricordiamo quando lei, con Giuliano Pisapia, aveva elaborato una riforma del Codice penale che ripensava il senso delle pene. Ci piacerebbe allora che venisse in carcere a Padova ad assistere a un incontro con le scuole, che è l’espressione di quello che noi, ma anche tante vittime che in questi anni con noi hanno dialogato, riteniamo debba essere il senso della pena.

Da una testimonianza di Benedetta Tobagi: “L’incontro coi detenuti della redazione di Ristretti mi ha spiazzata. Ero andata per “mettermi a disposizione”, invece ho ricevuto più di quanto potessi immaginare. Un detenuto, commentando l’esperienza, disse che avevo tanto bisogno di comunicare. Era proprio così. Una parte di me, soffocata, imprigionata, ammutolita, abituata sin bambina a stare zitta, a essere brava e forte come un soldatino, si era trovata davanti un gruppetto di uomini sconosciuti che volevano solo ascoltarla, in silenzio, con rispetto. Tra loro c’erano ergastolani, qualcuno era un assassino, e soffriva per me, e, attraverso me, per la figlia sconosciuta dell’uomo che aveva ucciso. Sentivano tutto il peso di ciò che avevano fatto. Questo mi ha toccato in un modo che non posso nemmeno dire. Anche se sai che le persone possono cambiare, se hai fede che possa succedere, sentirlo sulla pelle è un’altra cosa”.

Da una testimonianza di Serena L, ex studentessa: La mia testimonianza arriva a distanza di oltre dieci anni da quando ho fatto questa esperienza, a dimostrazione di quanto certi progetti siano in grado di lasciare il segno.

Ricordo il percorso scuola-carcere con Ristretti Orizzonti come uno dei progetti di impatto più forte sulle emozioni e sulle coscienze di tutta la classe.

Lo affrontavamo a partire da esperienze e sensibilità diverse, ma per tutti è stato un progetto in grado di mettere in questione pregiudizi, suscitare interrogativi e dibattiti, cambiare le visioni su meccanismi e funzioni del carcere per molti ancora poco chiari (…)

L’ho vissuto allora con grande coinvolgimento e oggi, con gratitudine, riconosco quanto valore possa avere il confronto tra due “istituti educativi” come la scuola e il carcere, nel momento in cui questi si pongono come spazi di dialogo e come comunità aperte, in grado di mostrare, raccontare e condividere quanto di costruttivo vi accada all’interno.