di Domenico Quirico
La Stampa, 19 novembre 2023
Nel terzo millennio la parola d’ordine è annientare, si uccide senza castigo. Quante vittime può tollerare una “guerra giusta”? È strano come in guerra tutte le cose acquistino una nuova dimensione, come se ci mostrassero per la prima volta il loro nero aspetto e ci invitassero, perentoriamente, a evitare scappatoie ipocrite e a riconoscere la realtà. I bombardamenti a tappeto, indiscriminati, i civili massacrati e usati come mezzo di scambio, le stragi degli innocenti, gli ospedali smantellati come se fossero fortezze assediate, i profughi aggrappati a frontiere impietose, voragini, bunker, terre svuotate di genti dall’espressione sbalordita e il passo incerto, uomini il cui mitra sembra nato con loro: tutto è così chiaro e tangibile. Siamo chiusi in un pozzo, siamo in trappola: è la guerra. Dobbiamo imparare a esser contenti, noi, per il semplice fatto di essere vivi.
La guerra di Gaza come quella che si svolge in Ucraina: due posti dove c’è sempre qualcuno che non doveva esserci. È come la pietra filosofale, muta la natura dei metalli, fa l’alchimia delle cosiddette buone regole dei conflitti, del tentativo donchisciottesco, spesso ipocrita, di controllare l’incontrollabile.
La selvaggia risolutezza della guerra, di qualsiasi guerra che sia condotta da democrazie o da tirannidi, da fanatici che invocano dio come garante dei loro delitti o da eserciti di Paesi che rendono omaggio ai diritti dell’uomo, da guerriglieri e da generali, non conosce ostacoli né morali né spirituali. Ed è questa spietatezza la causa e la condizione della vittoria. Adesso, nel 2023, non possiamo più fingere, arrendiamoci, disfatti, alla realtà: sono inutilizzabili i calepini con le regole per ammazzare in buona forma, le corti penali che acchiappano, e non sempre, solo i vinti di basso lignaggio, la radiografia delle intenzioni di chi uccide, distrugge, annienta, con la lanterna di Diogene dei codici penali che nessuno, a cominciare da noi occidentali, riconosce a meno che non gli faccia comodo. Non manca nemmeno un bottone alle uniformi del nostro reggimento di virtuosi sillogismi giuridici. Eppure come si vede il Male è perseverante.
La guerra, capitalista, rivoluzionaria, jihadista, nazionalista è una divinità feroce che conosce solo scopi e risultati, i propri. Quando si sa che si può uccidere senza castigo né biasimo si uccide. L’essere umano, quello della propria parte e quello nemico, è solo una materia prima da utilizzare. Volete una parola simbolo per il terzo millennio? Eccola: annientare! La strillano tutti, Netanyahu e gli ayatollah di Teheran e di Gaza, Putin e Zelensky: annientare i palestinesi di Hamas, annientare gli ebrei, annientare i fascisti di Kiev, annientare i nazisti di Mosca... La Storia è piena di scheletri misteriosi di mammut: uno di questi è l’idea del diritto internazionale, la ragnatela di accordi, convenzioni, da Kant a Nicola secondo (proprio lui Nicola secondo, lo Zar russo propose una conferenza sul disarmo, i popoli applaudirono, i governi la definirono “una fesseria”, “una commedia” ) per salvare, anche nel massacro, la dignità della vita umana. Patti che valgono fino a quando non scoppia un conflitto.
La guerra nella sua spaventosa realtà assoluta si è avventata prima sui villaggi di frontiera di Israele il 7 ottobre e poi sulla Striscia. Tutto brucia come un infiammabile materiale di sobillazione: le memorie antiche e recenti, la azioni disumane che sono sempre solo quelle dell’altro, il dio nostro e quello loro, i martiri che sono i nostri e i morti che l’hanno meritato, i loro, ovviamente.
Non so se il Segretario di Stato americano Blinken sia un uomo sincero o semplicemente un cinico politicante smaliziato. Quando afferma, in tono perentorio, cercando di arginare, un pochino, la vendetta di Israele (o solo per fingere di farlo): a Gaza ci sono troppi morti civili! Mi soffermo sul troppo. Che gettiamo dentro quella parola? Che numeri, intendo? E come li definiamo antropologicamente quei numeri? Cento mille civili bastano, sono normali, accettabili, fermiamo la calcolatrice? Rientrano nelle regole della guerra buona? E di questi quanti possono essere bambini o donne o vecchi o malati perché si galleggi virtuosamente al di qua della soglia che a Washington, specializzata nelle guerre giuste, sia considerata canonica?
Forse Blinken rammenta le parole del generale nordista Sheridan, condottiero della implacabile marcia su Atlanta segnata dagli allegri roghi di città e villaggi: “Alla gente bisogna toglier tutto eccetto gli occhi con cui piangere per la guerra”. Per il generale (le sue statue credo abbiano retto alle ruspe del politicamente corretto) i cannoni lavoravano, già nell’Ottocento, come una catena di montaggio, qualsiasi prezzo pagato dagli altri era giustificato dalla necessità di evitare perdite ai suoi. Un ragionamento che ha seguiti forsennati.
Il ministro della Difesa britannico Shapps paragona Hamas e Gaza alla Germania nazista e quindi, con cartesiano contrappasso, spiega che raderla al suolo e uccidere i civili è una giustificata condotta di guerra. Già. Concorda anche Israele. Viene in mente che, a Norimberga, l’unico delitto che non fu inserito tra i capi di accusa ai criminali nazisti fu il bombardamento a tappeto, quello che si sintetizzava in gergo tremendo con “coventrizzare”. Perché era un delitto che anche gli alleati avevano largamente commesso.
Chissà se Netanyahu ricorda che un ingenuo sapiente ebreo Maimonide, si era da poco superato il fatidico anno Mille senza danni, suggeriva in guerra di non distruggere gli alberi da frutta e che le città fossero assediate solo da tre lati per lasciar la possibilità a chi voleva andarsene di imboccare “un corridoio umanitario”?
La carica di odio che è il motore di ogni guerra travolge tutto, perfino la buona fede di alcuni che pensano di renderla decente, accettabile, beneducata, e che ne moltiplicano semplicemente la ipocrisia. È impossibile cercare di imporre regole alla guerra, perché non è un gioco. I fatti, ahimè, valgono più dei sogni. Che cosa è rimasto della certezza del presidente americano Wilson secondo cui le sanzioni avrebbero reso inutili le guerre? Le sanzioni!
Nel 1942, nella guerra in Cina, i generali giapponesi adottarono la regola dei tre assi: uccidere tutti, bruciare tutto e distruggere tutto. Semplice, vero? Molto comprensibile. Senza dirlo, tutti, con il drone o con il machete, con il kalashnikov e con il missile ipersonico, tutti vi si attengono quando il grosso mostro si espande come una nebbia e riempie l’atmosfera della sua sensibile presenza.