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di Giovanni Negri

Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2023

Non si può dire che la politica penale del Governo Meloni si sia scostata dalla, purtroppo tradizionale, abitudine agli interventi decisi sulla spinta emotiva dei più diversi fatti di cronaca (dai femminicidi ai reati commessi da minori, alle declinazioni penali dell’immigrazione clandestina). A mancare, con l’aggravante di contraddire almeno sinora le plurime affermazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio, sono invece misure più strutturali da prendere con il filo conduttore del garantismo. Inevitabile forse in un esecutivo che all’anima, semplifichiamo, più giustizialista di Fratelli d’Italia e Lega affianca quella di Forza Italia.

Così al proliferare di nuove figure di reato, all’inasprimento delle sanzioni, al moltiplicarsi delle aggravanti, alle traslazioni dal campo amministrativo a quello penale, non si sono accompagnate misure ad almeno parziale bilanciamento. A languire tuttora in Parlamento è, per esempio, il disegno di legge presentato da Nordio a metà giugno con profili di diritto penale sostanziale, la soppressione dell’abuso d’ufficio, e processuali, tra gli altri la necessità di una decisione collegiale sul carcere preventivo. La stessa, più volte annunciata, riforma strutturale del sistema delle intercettazioni è ancora di là da venire.

E, anzi, quanto fatto dal Governo è andato semmai in direzione contraria, estendendo l’area applicativa delle intercettazioni decise utilizzando i più flessibili presupposti della normativa antimafia. Le misure più restrittive, sulle intercettazioni a strascico per esempio, sono state piuttosto approvate sulla scia di blitz parlamentari, a parziale bilanciamento delle misure dell’esecutivo. Un paradigma che si è evidenziato anche per quanto riguarda una delle norme più identitarie per i Governi, di qualsiasi segno: la prescrizione.

La prossima settimana, verosimilmente la Camera voterà in prima lettura il ritorno alla prescrizione sostanziale, cancellando sia la riforma Bonafede sia quella Cartabia. Un ritorno al passato sul quale però poco ha pesato volontà e tempistica del ministero. Ugualmente assai parziali le misure assunte sul versante del processo penale, dove pochi giorni fa è stato approvato un decreto correttivo che si muove nel contesto della riforma Cartabia, limitandosi a qualcuno dei più urgenti aggiustamenti tecnici.

Correzioni diverse, fortemente sollecitate dall’avvocatura penale, come la revisione delle restrizioni al diritto d’impugnazione non è stato possibile assumerle per ragioni di carattere tecnico. E ancora. Nei cassetti del ministero giace, sul fronte assai delicato del diritto penale dell’economia, l’articolato messo a punto dalla commissione Bricchetti sulla riscrittura delle varie fattispecie di bancarotta e di tutto iI settore del penale fallimentare.

Un intervento da più parti ritenuto necessario per allineare la disciplina penale a quella civile, da tempo orientata a un cambio di paradigma con priorità data non più ai creditori, ma alla opportunità di salvare, per quanto possibile, gli asset aziendali. Sul piano ordinamentale, tangenziale a quello penale, la madre delle incompiute è certo la separazione delle carriere.

I due decreti legislativi approvati dal Consiglio dei ministri lunedì (su ordinamento giudiziario e fuori ruolo) si muovono ancora sui binari di quanto largamente orientato dalle deleghe della passata legislatura.

Nordio ha più volte ribadito che la distinzione dei percorsi di carriera tra giudici e pubblici ministeri dovrà essere fatta senza scorciatoie, attraverso una legge costituzionale, con coerenza giuridica, ma certo allungamento dei tempi. Inoltre l’aria che tira, quanto a provvedimenti di rango costituzionale, con le misure sul premierato in rampa di lancio, non è per un passaggio a breve in consiglio dei ministri.