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di Pierdonato Zito

Ristretti Orizzonti, 14 settembre 2023

Se commettere reati ti porta in carcere, smettere di commetterli dovrebbe portarti fuori. Questo l’assioma, ma il carcere così come è strutturato sembra andare contro ogni logica. Sono stato il primo a conseguire una laurea con lode in sociologia. presso l’Università Federico II di Napoli Polo Universitario Penitenziario di Secondigliano. Titolo della tesi “Lo Studio negli istituti penitenziari: il valore educativo tra formazione, resipiscenza e recidiva”.

Ho trasformato il pensiero di Victor Hugo ouvrir une école c’est fermer une prison in un interrogativo di ricerca. Mi sono chiesto può lo studio in ambito penitenziario influire positivamente sui processi decisionali degli individui? ho trasformato quindi la mia conoscenza empirica antropologica in analisi sociologica collegandole alle teorie studiate in ambito universitario. Il metodo utilizzato è stato quella auto etnografico analitico.

Ma quale dovrebbe essere la finalità di tutto questo? Che in presenza di un percorso positivo di risocializzazione, (quindi di un’oggettiva metamorfosi), prenderne atto e liberarlo. A quel punto il detenuto non rappresenta più un pericolo sociale, ma una risorsa sociale, dovrebbe essere restituito alla collettività, perché diventa la sua presenza un segno positivo nella società, il quale è più utile fuori dal carcere, che dentro.

Invece, in concreto, non basta cambiare si deve essere fortunati a trovare poi chi in quel cambiamento ci deve effettivamente credere. Dopo 30 anni detentivi come detenuto sono cambiato non solo nel fisico, nella mente, ma è cambiato il contesto sociale, storico, ambientale. Quindi in realtà la metamorfosi non deve riguardare solo il detenuto, ma anche chi deve decidere su di esso. La non valorizzazione del percorso rappresenta una criticità del sistema, può essere paragonabile ad un paziente in ospedale guarito, che non viene dimesso, ma che anzi gli viene applicato una sorta di “accanimento terapeutico”.

A quale fine? A chi giova lasciare un frutto maturo sull’albero? Non serve a me, non serve alle istituzioni, non serve alla società. Quale è l’orizzonte di senso in tutto questo? Nel percorso risocializzante non doveva essere applicato il principio progressivo anziché quello regressivo? Di fatto si realizza uno spreco di risorse sociali, spreco di un capitale sociale.

Non si capisce perché si deve scontare una pena, che non finisce mai per un reato che non commetterebbe più. È ragionevole tenere in carcere un individuo se è pericoloso, non è più ragionevole se lo stesso ha smesso di esserlo. Manca la visione in prospettiva, non viene valorizzato il percorso che ha compiuto, la traiettoria, la parabola, l’evoluzione.

Il titolo accademico significa che non solo, sono stato capace di scontare la mia pena, ma anche di riflettere criticamente sul mio passato. Le testimonianze nei vari incontri/convegni ecc. rappresentano una presa di distanza pubblica, e una attività di prevenzione, e che la propria vicenda è ancorata nel lontano passato. Di aver reciso ogni collegamento. Tra Università e Magistratura di Sorveglianza sembra che manchi una sinergia tale da superare i vari ostacoli burocratici. Il 70% della recidiva sta a significare che così il sistema carcere non funziona. Le criticità sono segno di inciviltà?