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di Marta Serafini

Corriere della Sera, 1 novembre 2022

Il professor Mohammadi dirigeva la scuola “Maria Grazia Cutuli” di Herat: con la sua famiglia è in salvo in Italia dopo un anno. Il piano di fuga con Farnesina, Sant’Egidio e Corriere. L’approdo alla comunità di Spazio Aperto Servizi.

“Ci abbiamo impiegato un anno. Ma ci siamo riusciti”. Quella di Shir Ahmad Mohammadi e della sua famiglia è una vera e propria Odissea iniziata il 15 agosto 2021, quando i talebani riprendono il potere in Afghanistan. All’epoca Mohammadi è il direttore della Scuola di Herat intitolata all’inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli, uccisa in Afghanistan il 19 novembre 2001. Mohammadi, come tutti quelli che hanno avuto rapporti con gli stranieri - e a maggior ragione essendo un funzionario scolastico di un istituto misto e che dunque educa anche ragazze dai 6 ai 19 anni - è a rischio. I talebani potrebbero arrestarlo o, peggio, ucciderlo. Dal Corriere con il ministero della Difesa e degli Esteri si attivano tutti i canali affinché Mohammadi possa salire su uno dei voli di evacuazione disposti dalle autorità italiane.

Ore drammatiche - Mohammadi e la sua famiglia - la moglie e due figlie minorenni - vengono messi in lista in quanto soggetti a rischio e arrivano a Kabul in auto. Superare il gate dell’aeroporto però è molto complicato. I talebani controllano i check point, frustano chiunque tenti di passare e Mohammadi non vuole mettere in pericolo la sua famiglia. Sono ore drammatiche in cui Farnesina, ong, ambasciate, attivisti militari, personale diplomatico e giornalisti che hanno lavorato nel Paese sono al lavoro per salvare il numero più alto di persone. Per l’Italia ne partiranno 2.500.

Finalmente il 26 agosto, i Mohammadi riescono ad avvicinarsi all’ingresso dell’aeroporto di Kabul. “Sono dentro, ce l’hanno fatta”, ci scrive su WhatsApp un amico che li ha ospitati e accompagnati. Sembra fatta. Invece pochi secondi dopo un kamikaze dell’Isis si fa esplodere. È il caos, nella confusione e nel panico della calca Mohammadi e la sua famiglia vengono respinti ai margini dell’aeroporto. “Siamo dovuti scappare”, ci scrive dopo qualche minuto Mohammadi sempre su WhatsApp. Al di là del sollievo di sapere che i Mohammadi sono illesi (in quell’attentato sono morte almeno 183 persone) ricomincia però l’angoscia. I voli di evacuazione vengono sospesi per ragioni di sicurezza. Ogni strada per uscire dal Paese sembra chiusa. Dopo qualche giorno, i Mohammadi decidono di tornare a Herat. Ma non si arrendono. E con loro le persone che li aiuteranno dall’Italia. Ma sarà solo dopo un anno e dopo un lunghissimo lavoro - grazie alla Comunità di Sant’Egidio e alla Farnesina - che Mohammadi insieme con la moglie e le due figlie verrà inserito nel corridoio umanitario che tra agosto e settembre ha fatto arrivare in Italia, attraverso l’Iran e il Pakistan, 300 richiedenti asilo.

Accoglienza - A ospitare in Italia i Mohammadi è Spazio Aperto Servizi, cooperativa sociale milanese fondata nel 1993 con l’obiettivo di prendersi cura delle persone che vivono condizioni anche temporanea di fragilità, attraverso una rete di servizi socio-sanitari, assistenziali, educativi e di accoglienza abitativa. Spazio Aperto Servizi ha affidato alla famiglia afghana un bell’appartamento nella periferia di Milano. “Siamo molto felici di ospitare i Mohammadi. Accogliere una famiglia significa partire innanzitutto dalla casa, ma questo rappresenta solo il primo tassello. Il nostro lavoro è accompagnare ciascuno nel proprio percorso, mettendo al centro la persona e costruendo insieme un progetto “su misura” che consideri tutte le dimensioni della vita quotidiana: casa, lavoro, salute, educazione, tempo libero. L’obiettivo è aiutare ogni persona accolta a raggiungere la propria autonomia e l’inclusione”, spiega Maria Grazia Campese, presidente e direttore generale di Spazio Aperto Servizi. Un lavoro prezioso, che parte dall’accoglienza abitativa e che ha raggiunto, solo nel 2021, 27mila persone. In contesti di emergenza mettere un tetto sulla testa non è cosa da poco, soprattutto a Milano. Ma non c’è solo l’alloggio.

Ora, grazie all’aiuto degli operatori di Spazio Aperto Servizi, i Mohammadi stanno studiando l’italiano e le bambine sono già state inserite a scuola. “Sono molto felici di essere tornate a studiare, è soprattutto per loro che abbiamo deciso di partire”, racconta il padre orgoglioso. E se l’Odissea dei Mohammadi pare finita ora inizia un altro viaggio altrettanto difficile, quello dell’integrazione. “Fondamentale è che imparino l’italiano e su questo si stanno già impegnando”, continua Campese. “La nostra filosofia non è limitarsi a fornire vitto e alloggio, ma cercare di offrire a ogni persona di cui ci prendiamo cura la possibilità di ripartire, di ricominciare - anche se lontano dal proprio Paese, seguendo le proprie aspirazioni e i propri desideri. Tutto questo ha a che fare con la dignità delle persone, insieme possiamo costruire un futuro diverso e generare davvero un cambiamento nella loro vita”.

Lasciarsi casa alle spalle non è semplice, tanto più se non si tratta di una scelta libera ma è una decisione presa per salvarsi la vita. E a spiegarlo è lo stesso Mohammadi seduto nella sua nuova casa: “Siamo grati all’Italia e a tutti quelli che ci hanno aiutato. E speriamo di poter presto ricominciare qui una nuova vita. Ma l’Afghanistan resterà sempre nei nostri cuori”.