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di Davide Varì

Il Dubbio, 13 marzo 2024

Lo schiaffo a Eva Kaili, il pasticcio dei pm in Portogallo, il caso Salis… ci sono tutti i segnali di una lenta ma inesorabile deriva. Immaginate la scena: la Commissione giuridica dell’Europarlamento respinge la difesa dell’immunità di Eva Kaili, la donna simbolo della sempre più traballante inchiesta Qatargate, e il capo della Procura belga che fa? Condivide il tweet del presidente della Commissione che ha detto no a Kaili come se fosse un Di Battista qualsiasi. Insomma, la massima autorità giudiziaria belga che ha istruito quella inchiesta naufragante, twitta come un quindicenne alle prime armi il no dell’Europarlamento alla sua “preda” giudiziaria.

Ora cambiamo latitudine, andiamo in Portogallo. Domenica scorsa un certo Andrè Ventura, leader di “Chega!” (che si traduce con “Basta”, punto esclamativo compreso), ha preso il 18% alle politiche. Ventura, i cui modelli sono Bolsonaro e Trump, tra una battuta omofoba e una razzista, ha menato fendenti contro la presunta deriva morale del Portogallo. Ventura ha avuto gioco facile perché l’ex premier portoghese, Antonio Costa, era finito dentro una tempesta mediatico-giudiziaria nata da una intercettazione veicolata urbi et orbi da tutti i media portoghesi. E, come nel più classico dei canovacci mediatico-giudiziari, quell’intercettazione ha generato un’inchiesta che nel giro di pochi mesi ha costretto alle dimissioni il premier.

Ma il vero scandalo - non l’unico - oltre allo sputtanamento a mezzo stampa di un premier che doveva ancora essere rinviato a giudizio, è il fatto che quella intercettazione in realtà non riguardava lui, ma un suo omonimo. Insomma, il premier di una democrazia europea votato da milioni di portoghesi è stato fatto fuori da una intercettazione tarocca. E ora a Lisbona si “godono” il loro Trump in versione fado.

Ultima scena: Budapest. Una cittadina italiana, Ilaria Salis, rischia 24 anni di carcere nei gulag ungheresi - e basti leggere le sentenze della Cedu per rendersi conto che gulag è la parola più prossima alla realtà - per aver picchiato, così dicono, un energumeno di quasi due metri di altezza che sventolava la croce uncinata tra le vie di Budapest insieme ai suoi amici antisemiti. Ma non è questo il punto. O almeno non solo questo. Salis, ricorderete tutti, fu scortata in aula con ceppi ai polsi e catene alle caviglie che neanche Totò Riina.

Insomma, questo è il quadro, l’affresco che abbiamo di fronte a noi. Ed è chiaro che si tratta di segnali che parlano di una lenta ma inesorabile deriva dell’Europa verso una intolleranza nei confronti del nostro Stato di Diritto. E che debba essere l’Italia a vigilare, la terra del caso Tortora e del far west giudiziario di Mani pulite, la dice lunga sul radioso futuro che abbiamo di fronte a noi.