sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giulia Merlo

Il Domani, 20 agosto 2023

Mentre le carceri scoppiano, il ministero è fermo sulla nomina del nuovo Garante delle persone detenute, già prorogato da due anni. I sindacati di polizia penitenziaria, invece, stanno chiedendo la rimozione del vertice del Dap, Giovanni Russo, nominato da Nordio appena 8 mesi fa.

Nell’estate dell’emergenza carceri, con circa 9 mila detenuti in più rispetto alla capienza e suicidi da nord a sud, il ministero della Giustizia è in difficoltà anche sul fronte di chi è chiamato a gestire il settore. Sia sul fronte della tutela dei detenuti che su quello del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Il Garante - La prima grana, che è anche politica, riguarda l’ufficio del Garante delle persone private della libertà. Il mandato degli attuali componenti, Mauro Palma, Emilia Rossi e Daniela De Robert è scaduto ormai da due anni e via Arenula doveva procedere alle nuove nomine. Tuttavia, la scelta dei componenti è ferma da luglio e ormai bisognerà aspettare settembre per risolvere un problema che minaccia di essere l’ennesimo scontro sui nomi, anche se uno dei requisiti è che si tratti di personalità “indipendenti” e che vengano scelte in accordo tra maggioranza e opposizione. I nomi sul tavolo erano stati individuati in Felice Maurizio D’Ettore, ex deputato di Forza Italia e poi passato a FdI ma anche professore di diritto privato a Firenze, per il quale Nordio aveva riservato la presidenza; il magistrato in pensione Carminantonio Esposito e - su proposta dei 5 Stelle e in particolare dall’ex pm Roberto Scarpinato - il professore Mario Serio, ordinario di diritto privato comparato a Palermo oggi fuori ruolo.

La rosa di nomi, tuttavia, ha sollevato immediatamente un vespaio di polemiche. Tre le critiche principali, mosse soprattutto dal Partito democratico e da Verdi e Sinistra: la mancanza di attenzione alla rappresentanza di genere, la provenienza nettamente politica del possibile presidente ma anche la scarsa aderenza ai requisiti di legge dei curriculum e, nel caso di uno dei componenti, la mancanza del requisito di legge di non avere in atto rapporti con la pa. Il decreto istitutivo, infatti, prevede che i membri dell’ufficio vengano scelti tra “non dipendenti delle pubbliche amministrazioni” e “che assicurano indipendenza e competenza nelle discipline afferenti alla tutela dei diritti umani”. Il risultato è stata l’impasse: i nomi devono passare per il consiglio dei ministri, ma per ora la pratica è ancora ferma a palazzo Chigi, dove si sono svolte alcune riunioni per ora infruttuose.

Il Dap - Come se non bastasse, anche una categoria storicamente vicina all’elettorato di destra si sta rivoltando contro il ministero. I sindacati della polizia penitenziaria, verso i quali il sottosegretario Andrea Delmastro è sempre stato attento, hanno ormai ingaggiato uno scontro contro l’attuale vertice del Dap appena nominato, il magistrato Giovanni Russo. Addirittura, arrivando a chiederne la cacciata.

“Non tolleriamo quindi più il silenzio assordante dei vertici del Dap di cui da settimane abbiamo chiesto l’avvicendamento”, ha fatto sapere il segretario generale Osapp Leo Beneduci. E il segretario del sindacato di Polizia penitenziaria (Spp) Aldo Di Giacomo ha anche proposto come nomi alternativi quelli di “magistrati di grande esperienza come Sebastiano Ardita e Nicola Gratteri: entrambi hanno la capacità, ampiamente dimostrata in numerose e difficili circostanze, di garantire quella svolta rivendicata dal personale penitenziario, innanzitutto per assicurare l’incolumità fisica dello stesso personale”.

Ad aver fatto saltare ogni rapporto sarebbe stato il fatto che, secondo i sindacati, il Dap avrebbe scaricato sulle organizzazioni periferiche “la propria inefficienza”, lasciando gli agenti senza mezzi e in balia del sovraffollamento e di strutture non adatte a gestire i detenuti con gravi patologie mentali.

Il clima è esplosivo ma le soluzioni mancano. Nordio ha proposto di trasferire i detenuti meno pericolosi nelle ex caserme, ma l’operazione - di cui si discute da vent’anni - è complicata perché gli edifici sono di proprietà di altri ministeri e hanno spesso già altre destinazioni d’uso. Intanto, è l’accusa dei sindacati, via Arenula ha perso il controllo delle carceri.