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di Antonella Mascali

Il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2022

Da un lato non si contano le commemorazioni, troppe di rito, per i 30 anni della strage di Capaci; dall’altro avviene che la Cassazione ha depositato le motivazioni dell’annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Milano che, per la seconda volta, aveva negato un permesso premio a Giuseppe Barranca, uomo dei Graviano, pluriergastolano proprio per la strage di Capaci del 1992 e per le autobombe del 1993 a Milano, Firenze e Roma.

Prima di entrare nei dettagli, è importante una premessa: se la Corte costituzionale nell’ottobre del 2019 non avesse dichiarato incostituzionale l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui vietava il permesso premio ai detenuti per mafia e terrorismo, non collaboratori, boss come Barranca, muti come pesci, non potrebbero aspirare al beneficio. Invece, non appena il Parlamento voterà definitivamente la riforma, approvata a marzo dalla Camera e ora al Senato, potranno aspirare pure alla libertà condizionata. La riforma è un passo obbligato da un’altra decisione della Consulta che ad aprile 2021 ha bocciato pure l’ostativo alla condizionale. Con una differenza, però, rispetto al 2019: la Corte ha ordinato la modifica al legislatore. Tornando al caso Barranca, per la Suprema Corte, quinta sezione penale, i giudici di Milano hanno negato il permesso premio ignorando quanto stabilito dalla Consulta, che ha disposto pure per un detenuto mafioso e magari stragista, che non ha mai voluto collaborare con la giustizia, la possibilità di avere un permesso premio, purché non abbia collegamenti attuali con la criminalità organizzata o non possa ripristinarli uscendo dal carcere, sia pure temporaneamente.

Per la Cassazione, i giudici milanesi avrebbero espresso “osservazioni ispirate a moralismi”, ma “non si può basare il rigetto solo sulla mancata decisione di collaborare”. Nelle motivazioni i giudici di legittimità accusano i colleghi della Sorveglianza di usare una nota dell’Anticrimine come “mero pretesto per l’attualizzazione della pericolosità” di Barranca “senza esame di elementi concreti”, in modo da poter motivare il rifiuto del permesso. In quella nota, del 15 gennaio 2021, il detenuto viene definito “un uomo d’onore inserito ad altissimo livello” in Cosa Nostra. Ma per la Cassazione il tribunale di Sorveglianza “si dilunga nello stigmatizzare la scelta di non collaborare” dell’ergastolano e lo accusa di essere “elusivo” della sentenza della Consulta.

Dopo il bastone, una piccola carota per i giudici milanesi, visto che Barranca è uno stragista e non un ladruncolo: “Pur nella consapevolezza della delicata e sottile linea di confine che, in relazione a posizioni detentive così peculiari, separa le valutazioni giuridiche sulla pericolosità sociale dal giudizio di condanna morale per i gravi delitti commessi”, i giudici di merito, comunque, devono “verificare la meritevolezza dei permessi premio secondo le direttrici tracciate dalla Corte costituzionale”, cioè se ci siano o meno legami attuali o ripristinabili, facendo un esame “a tutto campo, in una prospettiva dinamica di rieducazione e recupero del detenuto”, altrimenti “non vi sarebbe alcuna possibilità di garantire la rieducazione attraverso percorsi di benefici carcerari” dato che la “gravità dei reati” impedirebbe di per sé “un bilanciamento favorevole rispetto a percorsi carcerari positivi e alla presa di distanza dalle associazioni mafiose di appartenenza”. Come nel caso di Barranca, la cui difesa ha puntato anche sulla sua mancata citazione nelle ultime sentenze sulla cosca di Brancaccio. I giudici della Suprema Corte, dunque, sembrano ignorare che i mafiosi sono detenuti modello e che la “dissociazione” è insufficiente anche per la Corte costituzionale.

Amaro Luigi Dainelli, presidente dei familiari delle vittime di via dei Georgofili a Firenze: “Difficile accettare una decisione del genere. Viene da dire che tutti difendono Caino, nessuno Abele che fu ucciso da Caino. Non si vuole il fine pena mai, ma noi dobbiamo convivere con un dolore che non avrà mai fine per la perdita dei nostri cari”.