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di Errico Novi

Il Dubbio, 20 luglio 2023

I siluri dell’antimafia rischiano di ingabbiare le riforme. Ci sono pure segnali di “coerenza garantista”: altolà di centrodestra e Terzo polo all’editto Ue “anticorrotti”. Mercoledì 5 luglio: il ddl Nordio ottiene il via libera del Mef, dopo 20 giorni di rincorse alle coperture. Sembra fatta. È già data per certa la destinazione dell’articolato: Palazzo Madama. La firma di Sergio Mattarella sembra un passaggio senza incognite.

E invece il secondo e decisivo via libera, quello del presidente della Repubblica, arriva solo ieri. Dopo altre due settimane esatte di attesa. E di valutazioni preoccupate da parte degli uffici giuridici del Colle, perplessi per l’abrogazione dell’abuso d’ufficio prevista proprio mentre l’Italia è chiamata a valutare la proposta di direttiva Ue sull’anticorruzione, orientata in senso opposto su quel genere di reati. È l’istantanea di un percorso accidentato sulla giustizia, sempre più segnato da un’ambivalenza. Che non riguarda solo l’arcinota aporia di una maggioranza in cui ci sono forze più intransigenti, Fratelli d’Italia e Lega, ma anche l’ala moderata di Forza Italia e delle piccole enclave centriste, pronta a giocare di sponda col Terzo polo in chiave garantista. Non si tratta solo di questo. La contraddizione, nel centrodestra, vede da una parte la difesa della riforma Nordio, attestata dal parere critico approvato ieri commissione Politiche Ue a Montecitorio proprio sulla direttiva Ue anticorruzione.

Ma dall’altro versante, le convulsioni dell’ultima settimana dimostrano quanto l’Esecutivo di Giorgia Meloni possa scoprirsi terribilmente fragile, sul piano mediatico, non appena si incrocia il moloch dell’antimafia. È bastato che Carlo Nordio osasse denunciare, in chiave accademica, “l’ossimoro” del concorso esterno perché la premier si sentisse improvvisamente accerchiata sulla giustizia. Fino a dover richiamare, con un tono assai più severo di quanto avvenuto sul caso Cospito, il proprio guardasigilli, fino a dirgli con una certa insofferenza che sarebbe meglio parlare meno e, comunque, ricordarsi di parlare da politico e non da “semplice” giurista.

Però esiste anche l’alto volto del centrodestra, la coerenza del parere approvato in commissione ieri, proposto da un relatore, Antonio Giordano, deputato proprio di FdI. Con la maggioranza ha votato anche il Terzo polo, a riprova che su molti temi di giustizia le idee di Nordio, del meloniano Andrea Delmastro o del calendiano Enrico Costa sono tutt’altro che distanti. Il lungo documento sulla “proposta di direttiva Ue” (messa a punto tra Bruxelles e Strasburgo ma non ancora formalmente emanata) segnala diversi passaggi critici, relativi anche all’abuso d’ufficio: su reati come quello che Nordio propone di abrogare, Europarlamento e Consiglio Ue reclamano una tassatività che non trova riscontro nella Convenzione Onu sul contrasto della corruzione.

Non solo, perché la direttiva arriva a sollecitare gli Stati membri affinché rendano perseguibili gli abusi e l’arbitrio di chi ha funzioni di vertice non solo nel pubblico ma addirittura nel privato. Un’eccentricità che si accompagna ad altri paradossi, come “alcuni allungamenti significativi di termini di prescrizione”, segnala il relatore Giordano, “con ricaduta sulla lunghezza dei tempi della giustizia, elemento in contraddizione con le politiche Ue di efficientamento”. La proposta europea prefigura norme più stringenti persino sull’incandidabilità, che per le ipotesi di corruzione dovrebbe colpire addirittura i semplici indagati.

Ora, è chiaro che il voto di ieri alla Camera sembra dimostrare anche la convinzione con cui il centrodestra, e Fratelli d’Italia innanzitutto, intendono difendere la prima riforma penale di Nordio. Ma è vero anche che nei giorni scorsi sono arrivati segnali molto diversi sulle questioni legate all’antimafia. Intanto l’ipotesi, avanzata da Meloni e ieri “avallata” dallo stesso Nordio, di un decreto che individui con certezza i reati associativi di stampo mafioso e superi le incertezze che deriverebbero da una sentenza della Cassazione, la 34895 del 2022, secondo cui non basta che di un determinato delitto si avvantaggi una cosca per accertare il carattere mafioso del reato.

Una pronuncia finora ignorata dal dibattito e che la presidente del Consiglio ha improvvisamente tirato fuori, su suggerimento del sottosegretario alla Presidenza, e magistrato, Alfredo Mantovano. Il tutto alla vigilia delle commemorazioni per via d’Amelio, rispetto alle quali la premier era preoccupa di dover scontare le parole di Nordio sul concorso esterno. Domani sempre a Palermo FdI organizza un convegno sulle nuove forme di contrasto della mafia, al quale Meloni interverrà con un videomessaggio, senza che si sia ipotizzata analoga partecipazione per il guardasigilli.

Sugli strumenti per contrastare la mafia, FdI e Forza Italia hanno idee diverse, in particolare sulla necessità di rivedere le misure di prevenzione, che spesso travolgono innocenti, necessità avvertita dagli azzurri ma sconfessata apertamente dai meloniani (basti vedere le dichiarazioni del capogruppo alla Camera Tommaso Foti). E il tabù dell’antimafia è tutt’altro che una questione circoscritta: rischia di condizionare ancora Meloni e i rapporti della premier con Nordio, portato a esprimersi con candore (al netto delle puntualizzazioni fatte ieri al question time, come riferito in altro servizio) anche su un tema così delicato.

Se si impugna l’arma dell’insufficiente durezza contro i mafiosi, qualsiasi riforma penale è sotto minaccia: dall’abuso d’ufficio alla prescrizione, per non parlare delle intercettazioni. Se il governo, a cominciare dalla premier, continuerà a essere atterrito dalla sola idea che si possa modificare lo sclerotico codice antimafia, la sconfessione subita ieri da Nordio non sarà l’ultima. E tutte le riforme, anche le più “insospettabili”, avanzate dall’Esecutivo in materia di giustizia rischieranno di finire nel tritacarne mediatico da un momento all’altro.