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di Giovanni Negri

Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2024

Sollevata la questione di legittimità costituzionale sul nuovo procedimento. La definizione anticipata confligge con la ricerca delle ragioni vere del disagio. Ha poco a che fare con una vera rieducazione l’istituto introdotto dal decreto Caivano per i reati di apparente minore gravità; a trasparire è invece un paradigma punitivo che ha persuaso il Gip del tribunale dei minorenni di Trento a rinviare il tema alla Corte costituzionale.

Ha poco a che fare con una vera rieducazione l’istituto introdotto dal decreto Caivano per i reati di apparente minore gravità; a trasparire è invece un paradigma punitivo che ha persuaso il gip del tribunale dei minorenni di Trento a rinviare il tema alla Corte costituzionale. Elemento non secondario del provvedimento approvato dal Governo a settembre sul fronte della criminalità minorile (ma non solo, vi sono contenute, per esempio, misure contro la dispersione scolastica) il percorso di rieducazione del minore è stato inserito, come articolo 27bis, nel Codice del processo minorile.

Nel dettaglio a venire prevista è una proposta di definizione anticipata del procedimento durante le indagini preliminari su istanza del pm quando i reati per i quali si procede non hanno pena superiore a 5 anni e i fatti non rivestono particolare gravità. Un istituto caratterizzato dall’esercizio informale dell’azione penale, dall’accertamento del fatto in forma sommaria, da una significativa restrizione dei tempi, dall’assenza di coinvolgimento della persona offesa, dalla natura negoziale del programma rieducativo, dall’affidamento della decisione al giudice unico (Gip), dall’intervento ridotto dei servizi minorili.

A non convincere però il gip di Trento (ordinanza del 6 marzo 2024) è però il ragionamento per cui a fronte di un reato non particolarmente offensivo e tuttavia non occasionale è possibile arrivare, in tempi brevi, a una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato come esito finale del corretto svolgimento di determinate attività individuate dallo stesso minore, a sfondo socio-lavorativo. Un sillogismo viziato da irragionevolezza per il Gip trentino perché prevede, in presenza di un reato non occasionale, una procedura che non permette un adeguato approfondimento informativo e, di conseguenza, neppure “un’effettiva presa in carico del minore e dei suoi bisogni educativi”.

“In altre parole - sottolinea l’ordinanza - dietro alla commissione di un reato, non particolarmente grave né punito severamente dalla legge, possono celarsi significativi bisogni educativi, i quali esulano dall’attività di indagine penale propriamente intesa”. Il fatto reato, in questa prospettiva, diventa occasione per intercettare il disagio giovanile e il procedimento penale minorile diventa strumento per offrire al minore per emanciparsi dalle cause che hanno prodotto la condotta criminale. Soltanto così, sostiene il gip, risultano attuati di principi costituzionali di protezione della gioventù da parte della Repubblica e di rimozione degli ostacoli allo sviluppo della persona.