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di Massimo Lensi

Il Domani, 16 febbraio 2024

Giorgia Meloni punta su più carcere, più reati, più sicurezza e più consenso, populismo lineare. Il Capo del Dap in Commissione Giustizia parla di nuovi accordi con l’Albania, meno sovraffollamento grazie alla costruzione di nuovi istituti, più psicologi e psichiatri in carcere. Elly Schlein torna sul mito della rieducazione e dichiara: “Il carcere al centro per ribaltare il modello Meloni”.

Carcere al centro? È proprio quello che vuole Meloni! L’ex Garante nazionale Palma marca il terreno con le case territoriali. Manca all’appello il ministro di Giustizia Nordio, con le caserme dismesse. Il rischio suicidario non si concentra solo sui detenuti fragili, ma su tutta la popolazione detenuta senza distinzioni. In galera tutti sono fragili, e il rischio suicidario è sinceramente democratico. Disumano è il carcere in quanto tale.

Attenzione: è disumano anche per noi, società dei liberi, che non riusciamo a trarre profitto sociale dagli attuali sistemi detentivi e preferiamo creare questi spazi dell’oblio e spacciarli come luoghi della retribuzione. Il fenomeno della disculturazione è indicativo per capire la disumanità: più lunga è la pena, più un detenuto si sente integrato nel carcere ed è portato a dimenticarsi della vita libera, ne ha quasi paura.

Da aggiungere la probabilità che all’esterno un detenuto di lungo corso abbia perso tutto, famiglia, lavoro e casa, e di uscire di galera e ricominciare daccapo non ne ha più voglia. Il rischio suicidario è alto nei detenuti in prossimità del fine-pena.

La carcerizzazione, concetto diverso dalla carcerazione, è ostativa al ricordo della libertà; la restrizione si trasforma in libertà surrogata, condizionata e infantilizzata. E allora che si fa? Visto che non è possibile eliminare il carcere del tutto, andrebbe limitato al massimo agli evidenti casi di periailo recidivante per il bene comune e per gli altri.

Inoltre, è arrivata l’ora di rivedere profondamente il senso della pena e andare nella direzione della riparazione: la restorative justice. Utile a noi liberi, utile alla vittima del reato, utile a chi ha commesso il reato. Utile ad abbattere il rischio suicidario che colpisce tutti in carcere, anche gli agenti di polizia penitenziaria. Utile per tornare alle relazioni umane. Senza contare quelle regioni che, con difficoltà, stanno già cercando di dar vita ai primi centri di giustizia riparativa e mediazione penale.