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di Paola Balducci

L’Espresso, 26 aprile 2024

La situazione carceraria nel nostro Paese è un affresco complesso di sfide umane, legali ed etiche: i diritti fondamentali si scontrano con le realtà quotidiane di sovraffollamento, condizioni igieniche precarie ed esigua disponibilità di risorse di sostegno psicologico. Lo specchio è nel costante aggiornamento del dato dei suicidi in cella: 30 nei primi 4 mesi del 2024, senza contare i numerosissimi atti di autolesionismo e la percentuale di detenuti in condizioni psichiatriche fragilissime lasciati senza alcun sostegno in mancanza di strutture adeguate.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio è intervenuto con un decreto che stanzia 5 milioni di euro per prevenire i suicidi e ridurre il disagio psicologico della popolazione carceraria, amplificato durante i primi 6 mesi di detenzione. Può bastare? Sentiamo spesso parlare di nuove carceri, nuovi fondi, nuove riforme, quando in realtà si dovrebbe parlare di migliori carceri, costanti fondi e riforme efficienti.

Ma, parlare di carcere non è popolare, non porta consenso e soprattutto troppo spesso la discussione viene abbandonata nel marasma di visioni e ideali sulla funzione della pena. In questo contesto di emergenza è stata presentata una proposta di legge elaborata da Roberto Giachetti, con la collaborazione dell’associazione Nessuno tocchi Caino. Riguarda la liberazione anticipata speciale, quale rimedio eccezionale capace di decomprimere la situazione di sovraffollamento, consentendo ai condannati, con il fine pena più breve, di accedere anticipatamente alla libertà.

Ma bisognerebbe trovare il coraggio di intraprendere percorsi legislativi come la depenalizzazione. Del resto, è dimostrato che la visione carcerocentrica della pena non aiuta a far diminuire il tasso di recidiva. Numerose le iniziative volte proprio ad alleggerire le percentuali di ingressi in carcere, come la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’Unione Camere Penali Italiane sul rinvio della pena quando questa venga applicata in condizioni contrarie al senso di umanità.

Preoccupante, poi, è la percentuale dei cosiddetti “liberi sospesi” - più di 90 mila nel nostro Paese - ovvero persone condannate a pene fino a quattro anni di reclusione, nei confronti delle quali il pm, contestualmente all’ordine di esecuzione della pena, deve emettere un provvedimento di sospensione per consentire la presentazione di istanze di misure alternative alla detenzione. E invece i liberi sospesi finiscono per trovarsi ostaggio di un sistema dell’esecuzione penale particolarmente in affanno, di una magistratura di sorveglianza oberata da numerosissime cause pendenti, con la conseguenza che l’espiazione per le persone condannate a pene detentive brevi potrebbe avvenire a distanza di molti anni.

Ma vi è un ultimo aspetto, il meno citato, ma probabilmente il più importante e umano: la vicinanza. La vicinanza delle istituzioni, la vicinanza della propria famiglia, la valorizzazione dell’affettività. Il carcere non dovrebbe essere un luogo ove lasciare senza alcuna prospettiva quanti hanno infranto l’ordine sociale, ma un luogo di rinascita nel rispetto 1, dei principi fondamentali della persona per non tradire la finalità rieducativa della pena, sancita dalla Costituzione, per troppo tempo disattesa.